Translate

venerdì 2 dicembre 2011

Cenere e spiriti lontani

Esci dalla guesthouse dove hai passato la notte, attraversi il vialetto di ciottolato e ti incammini verso il mare. Sono i primi di giugno ma a Edinburgo è ancora freschino. E piove. Quella pioggerella tipica inglese, che in questo periodo dell'anno ti cade uggiosa addosso ma sembra che anche lei non abbia tutta questa voglia di bagnarti. Passo dopo passo il richiamo dei gabbiani, che è un po' ovunque per la città, fino anche alla vecchia Old Town, si fa più insistente, e anche le case paiono cambiare aspetto, e anche l'aria, fresca, si fa strada facendo più frizzante, salata.
Arrivi a Leith: c'è un flebile vento dal carattere però impavido e sprezzante che soffia, mentre in giro non c'è nessuno, troppo presto per i turisti, troppo tardi per i lavoratori. Ti incammini a sinistra, verso il Leith Walk, e di nuovo tutto cambia: attraversi sottoboschi fiancheggiati ora da casette, ora da ponti, ma sempre con il fido fiume che ti accompagna, placido, nei tuoi giri. L'aria sa di fresco, di erba bagnata e di terra, e ti chiedi come sia possibile sentire gli odori della campagna in città. Seguendo i tuoi passi esci dalla New Town e risali verso la Old Town, eppoi giù lungo il Royal Mile fino a intravedere il brillante verde dell'Arthur's Seat. Sembra di non riuscire a fermarti, senti che quell'incredibile spianata ti apra il cuore, aspra e allo stesso tempo dolce, impervia ma apapgante una volta toccatane la "vetta".
E una volta che sei su il sole esce allo scoperto, asciuga la tua fronte e fa scintillare l'oceano all'orizzonte ("Horizons") e le onde che bagnano Leith. Hai chiuso il cerchio, e ti sei innamorato di Edinburgo: adesso puoi solo riscendere e ricominciare a camminare.
Se ascolti i Falloch e conosci la Scozia non puoi non riconoscere come questi giovanissimi musicisti siano stati in grado di riversare nella loro musica tanti dei caratteri distintivi della loro terra (la Scozia appunto). Le ripide e scoscese progressioni ritmiche non sono ancora scogli appuntiti del black metal (ma neppure di tanto post black metal se è per questo), così come le chitarre non sferzano l'orecchio con fredde e pungenti note. E la voce, quella deve il suo incedere non tanto burrasche e forti temporali ma a pioggerelle deboli che lasciano spazio a timidi e flebili raggi di sole. Volete trovare della negatività in questo disco? Mi è difficile farlo, e se proprio si vuole pensare a spiriti dolenti e anime vaganti allora preferisco immaginarmi campi elisi e alto grano, con, perché no, all'orizzonte qualche nuvola minacciosa.


08/11/11

Nessun commento:

Posta un commento