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mercoledì 27 marzo 2019

Asocialità e musica

Per noi asociali la musica è una benedizione divina.
Nell'ora scarsa di pausa che spezza la tua giornata lavorativa fuggi dall'ufficio alla ricerca di un po' di pace, giusto per ascoltare un po' i tuoi pensieri anziché quelli degli altri. Il "problema" si pone quando arrivi all'unico bar aperto in paese, vuoi prendere un caffè ma è pieno zeppo di colleghi. Incroci i loro sguardi, sorridi timidamente per salutarli, ma non vuoi parlare, non ce la fai proprio, non te la senti, non vuoi rompere il tuo flusso di pensieri, vuoi crogiolarti ancora per qualche minuto nella tua malinconia, nei tuoi ricordi, nel tuo isolamento.

Eppoi parte questo pezzo, e ti sembra di essere in un film.



Il pianoforte, la chitarra, le melodie ti cullano, vedi le bocche dei colleghi aprirsi al dialogo ma quello che senti è solo musica, senti finalmente quello che vuoi sentire, solo quello,
e ti piace.
Tutto si muove come in slowmotion, solo tu riesci a muoverti come se nulla fosse, fluttui in un mare che non ti tocca, ci sei ma non ci sei, ne sei immerso ma è come se tu ne fossi impermeabile,
e ti piace.
Ultimamente penso davvero che sarei una persona diversa senza la musica, più povera, più uguale a tante altre, e invece, per fortuna, riesco ancora a ritrovarmi.

venerdì 22 marzo 2019

So the story goes, and there will be fireworks, eventually



Da cosa ci rendiamo conto che siamo diventati "grandi"?
E' iniziato tutto con un sogno, nel quale, dopo quasi venti anni, riuscivo ad organizzare una cena di classe con i vecchi compagni delle superiori. La sera ci dovevamo incontrare nella Piazza della città, arrivando li vedo, sparpagliati qui e là, ne saluto uno, poi un altro, poi vedo il mio vecchio compagno di banco e ci abbracciamo di corsa dandoci qualche cazzotto nelle costole, come facevamo da ragazzi, in maniera bonaria. E' una sensazione strana, bellissima, calda, molto da teen movie se vogliamo, ma è appagante. Alla fine è un sogno, quello che vorremmo che fosse e che spesso invece non è.
Ci accorgiamo che siamo "grandi" quando, passando con la macchina di fronte alla casa dove siamo cresciuti, una marea di ricordi ti invadono la mente. Quando passavi i pomeriggi a giocare a calcio fuori, o a giocare alla Playstation, o quando interrompevi i compiti alle 16:30 per guardare Holly e Benji, o quando dovevi prepararti per la seconda prova di maturità, quella di matematica, ma poi se ne usciva tuo babbo con una boccia di vinsanto trovata chissà dove, e allora ciao compiti... In tutto due costanti, amici e una innocenza e una giusta noncuranza del domani, perché, appunto, era domani, e oggi c'erano altre cose da fare.
Ti accorgi che sei cresciuto quando perdi un genitore e il suo ricordo ti assale nei momenti in cui meno te lo aspetti, o quando devi comprare casa e ti senti piccolo piccolo, inadatto alla vita e alle sue sfide. Quando basta poco per commuoversi, una canzone, un disco suonato nel momento in cui sei più fragile, in cui ti senti più nudo di fronte a tutto e tutti. Quelle canzoni sono carezze, sono pacche sulle spalle, sono persone che ti dicono "è la vita, ci sono passati tutti, ce l'hanno fatta tutti, è normale che sia così". Quelle canzoni così semplici, eppure così coinvolgenti, così vere, come se le avessi scritte te se solo avessi saputo scrivere un po' più decentemente.
Stai crescendo quando ti rendi conto che è molto più facile commuoversi per la nostalgia delle cose che hai vissuto, dei ricordi, piuttosto che piangere lacrime di felicità per le cose che sai che succederanno, magari a breve, ma delle quali hai ancora tanta paura. Hai abbandonato infanzia e adolescenza quando aumentano sì le responsabilità, ma soprattutto aumentano le paure, soprattutto quella di deludere chi ti ama, chi ti sta vicino, e di deludere anche te stesso, gli ideali con i quali sei cresciuto, le cose che ti hanno detto e che ti hanno formato.
Non si è per sempre bambini, e chi dice di esserlo è un cazzaro. Si può però cercare di rivivere per un attimo quelle sensazioni, ricordando, piangendo, guardando un film, ascoltando un disco, o semplicemente abbracciando un vecchio amico, anche se solo in sogno. Ed è bello come il disco di una band sconosciuta ai più, forse adesso sciolta, mi abbia fatto riflettere su queste cose.
Scozzesi di Glasgow i There Will Be Fireworks escono nel 2009 con il loro primo omonimo full lenght. Il disco grazie al quale li ho conosciuti, il già recensito "The Dark Dark Bright", è forse l'apice della loro (breve, va detto) carriera, ma già in questo lavoro ci sono picchi di emotività e di classe rilevanti. Il loro è un post rock non strumentale, con un cantato che ricorda ora un Damien Rice, ora i Brand New, mentre la struttura portante dei pezzi è un saliscendi di emozioni, pause, accelerazioni, corse e rifiatate, tanto care ai conoscitori degli Explosions in the Sky.
Come ho già avuto modo di segnalare nel precedente scritto i Nostri hanno l'innata capacità di saper emozionare in maniera semplice, con piccole cose dal sapore universale e condivisibile. Fanno quella specie di "magia" grazie alla quale, con una combinazione di note, riescono a farti pensare a cose anche lontane dal testo del pezzo che stai ascoltando in quel momento, e ti fanno sciogliere come neve al sole, ti permettono di parlare con te stesso.
Non so dove siano ora questi ragazzi, se la band sia ancora attiva o se si sono divisi, online si trova poco... Ma sarò sempre debitore nei confronti della loro musica, che sa esserti amica senza chiederti nulla in cambio.

So the Story goes

https://www.debaser.it/there-will-be-fireworks/there-will-be-fireworks/recensione

martedì 19 marzo 2019

Il Giardino dell'Abbandono



Lo chiamavano il "Giardino dell'Abbandono" perché chi vi accedeva riusciva ad abbandonare tutte le sue paure, le preoccupazioni, le angosce. In questo giardino Proserpina era solita abbandonarsi a danze e risate con le sue sorelle, ingenuamente incurante del male, del dolore e della sofferenza che serpeggiavano all'esterno del Giardino, che tentavano invano di scavalcare le alte mura arrampicandosi come edera malvagia. Figlia di Cerere e Giove, mora, la pelle pallidissima infiammata da labbra e guance rosso sangue, gli occhi verdi smeraldo, svettava sulle sue sorelle per bellezza e grazia.
C'era una grotta in questo Giardino, nella quale le fanciulle non andavano mai: buia, umida, incorniciata dall'edera, sembrava emanare qualcosa di tremendo e arcano: era la porta degli Inferi, messa lì a monito della caducità della bellezza e della vita: il "Giardino dell'Abbandono" era un Eden per le creature non umane come Proserpina, ma per i comuni mortali assumeva i tratti di un luogo di passaggio, un momento di estrema libertà e vita immediatamente precedente l'abbandono dell'esistenza.
Dalla fredda grotta occhi rosso fuoco scrutavano bramosamente la vita nel giardino: Plutone, re degli Inferi, stanco della continua tenebra e del dolore nell'essere reietto in un mondo di tristezza e sofferenza, agognava la gioia e la felicità incarnate nelle fanciulle che popolavano il florido prato. Tra queste creature il Demone voleva Proserpina, si era innamorato della sua grazia, delle sue eteree fattezze, della sua leggiadria, la voleva a suo fianco per regnare all'Inferno, nella speranza che la ragazza potesse portare un po' di sole nella sua non-vita. E così un giorno uscì dalla grotta, sorprendendo la fanciulla che era seduta a raccogliere violette: la strinse in un abbraccio e incurante delle urla fuggì con lei nel suo Regno.
Nel regno delle Tenebre il Demone cercava di far sentire la ragazza a suo agio, le portava fiori, che però morivano dopo pochi istanti causa la mancanza di luce ed il troppo calore; le portava animali, che presto si fiaccavano per l'assenza di aria pulita; le portava cibi, che lei rifiutava perché sapeva che, una volta accettato qualcosa da mangiare dal regno degli Inferi, quella sarebbe stata per sempre la sua dimora.
E così il tempo passava, e Cerere, madre di Proserpina, non vedendola più iniziò a cercarla: la sua rabbia e angoscia aumentavano ogni giorno di più, smise di interessarsi al mondo, e così iniziarono carestie e siccità. L'umanità periva pian piano e Giove, per cercare di porre un freno a queste sofferenze, inviò il suo messo Mercurio a cercare la giovane: quando questi riuscì finalmente a trovarla non riconobbe nei suoi occhi la luce smeraldina che la contraddistinguevano. Per la troppa fame la fanciulla aveva infatti ceduto e aveva mangiato un chicco di melagrana, di fatto condannandosi ad essere sposa di Plutone e a non abbandonare più il regno delle Tenebre.
La furia di Cerere non si placò nel sapere la triste sorte riservata a sua figlia, e i giorni di carestia si trasformarono in mesi. Giove, arbitro della vicenda, impose quindi una condizione, che avrebbe di fatto messo d'accordo Plutone e Cerere: Proserpina avrebbe trascorso sei mesi nel mondo dei vivi, con sua madre nel Giardino dell'Abbandono, e sei mesi in quello dei morti, a regnare con Plutone negli Inferi.
Insieme sarebbe stata Regina dell'Estate e Padrona dell'Inverno, e quegli occhi color smeraldo non tornarono mai più a brillare come una volta, nemmeno quando erano illuminati dalla calda luce del sole.
"The Garden of Abandon" è la seconda prova a firma Monastery, monicker dietro il quale si nasconde Robb Kavjian dei 1476. Come nel precedente "Peculiar Storms" siamo di fronte a un album i cui riferimenti musicali possono essere ricercati nella musica ambient con inserti elettronici, folk e synth. Sebbene la critica faccia rientrare il genere proposto dall'Artista come "dungeon synth" sono totalmente assenti i connotati cupi e oscuri che caratterizzano gran parte dei questo genere: sarebbe quindi quasi più corretto parlare di "Fantasy Synth", a patto che esista questa etichetta.
Principale fonte di ispirazione di questo album è l'arte dei Preraffaelliti: il Nostro ha sviluppato una sorta di concept che dona una forma letteraria e musicale a questo affascinante movimento pittorico inglese, creando un mondo magico e delicato nel quale prendono vita personaggi storici, mitologici o delle favole. Valore aggiunto sono l'artwork del disco e i testi scritti a commento di ogni pezzo, necessari per rendere al meglio l'atmosfera che si vuole ricreare con la musica proposta.
Si tratta di un ascolto adattissimo a questa stagione, quando i rigori invernali lasciano il passo alle miti temperature primaverili, e la Natura si sta risvegliando pronta a raccontarci le storie meravigliose che ha sognato durante i suoi mesi di riposo.

The Garden of Abandon

https://www.debaser.it/monastery/the-garden-of-abandon/recensione