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venerdì 11 dicembre 2020

2020: a (metal) retrospective

Anno strano, direi memorabile questo 2020... Nel senso che difficilmente ce lo scorderemo! La pandemia che ha afflitto il mondo in maniera più o meno grave (a livello globale) e la nascita di mio figlio (a livello personale) già da soli bastano a rendere questi 365 giorni moralmente devastanti, delle montagne russe emozionali uniche, nel bene o nel male. Da un punto di vista musicale non sono molte le uscite che mi hanno colpito: la mancanza di tempo nel dedicarmi alla musica da una parte ed una vaga apatia dall'altra hanno condizionato i miei ascolti, che in maniera forse nostalgica si sono concentrati soprattutto sulla riscoperta di vecchi album che non ascoltavo da molto. Ciò nonostante le uscite degne di nota ci sono state, eccome!


Chiral - "Hope"
Matteo Gruppi torna a deliziarci e a sorprenderci con il suo progetto Chiral. E lo fa con un lavoro che vuole essere un po' la chiusura di un percorso iniziato con "Night Sky" e proseguito con "Gazing Light Eternity". Le coordinate sono apparentemente le stesse: un black atmosferico, talvolta languido, talvolta disperato, liquido nel suo dipanarsi tra le varie tracce, ma che sa essere abrasivo e tagliente quando serve. Cambia però il mood, che si è fatto via via più intimo: la contemplazione dell'esterno ha lasciato spazio pian piano ad uno studio del proprio io, ad un lavoro sulla rabbia, sull'amore, sui rapporti umani. Forte è la componente post rock, che si unisce alle già presenti matrici folk e progressive, e compare per la prima volta anche un elemento ai limiti del drone che lascia aperti spiragli per il futuro. C'è una logica nel processo evolutivo di Chiral, c'è meticolosità e cognizione di causa, per un progetto che ci auguriamo continuerà ad allietarci e stupirci.
PS Ho avuto l'onore di scrivere parte del testo usato per "Mortal Way/Full Circle", motivo in più per amare questo lavoro!





Winterfylleth - "The Reckoning Dawn"
Tornano i Winterfylleth, alfieri e degni rappresentanti del black metal albionico, e lo fanno con un disco roccioso e privo di note deboli. Sia chiaro, i Nostri ci avevano già abituato a lavori ai limiti della perfezione ("The Hallowing of Heirdom", se usciamo da lidi metal, è di per sé un capolavoro di disco) ma con la loro ultima fatica gli inglesi si migliorano e si confermano.
Un album "epico", dall'incedere fiero e rabbioso, ruvido (più del solito forse) ed emozionante, che riff dopo riff traduce in musica l'asprezza della natura incontaminata raffigurata in copertina, e l'amore che i Nostri nutrono per essa e per la loro Terra.
Sicuramente tra i migliori lavori BM dell'anno.





Wayfarer - "A Romance with Violence"
Eccoci ad un altro pretendente per lo scettro di miglior lavoro BM dell'anno (nella mia classifica si intende!).
Lavorando sul mood e sulle atmosfere del precedente "World's Blood" i Nostri hanno compiuto un altro passo avanti, regalandoci una meraviglia di disco.  Il black metal atmosferico, tenebroso ed emozionante fa da commento musicale ad un viaggio nell'epopea del West americano, ma ci accompagna in maniera del tutto personale, con sonorità e parentesi strumentali prese direttamente in prestito dal Denver Sound (assimilabile all'Americana e a un certo Gothic Folk, ma con le proprie peculiarità).
L'impatto immaginifico ed evocativo è così forte che le parole non rendono giustizia al lavoro dei Nostri: un ascolto al disco è assolutamente consigliato!





With the End in my Mind - "Tides of Fire"
Quanto mi è mancato il Cascadian Black Metal! Ammetto che forse questa definizione è passata di moda, forse anche il genere stesso (rientrato nel più canonico BM atmosferico)... Ma se leggi di una band dalle tematiche più o meno ecologiste, che viene dallo stato di Washington, che ha sonorità così "boschive", e tra le cui fila milita Michael Korchonoff (degli Alda, tra gli altri), non puoi fare a meno di pensare alle foreste del Pacific Northwest. Ed in effetti le coordinate sono giuste!
Tre pezzi dilatati, sciamanici, evocativi e ritualistici, attraverso i quali i Nostri ci guidano ad una profonda riflessione sui rischi che corriamo girando le spalle alla Natura e alla Madre Terra... E ci guidano a suon di schiaffoni, riff gelidi e una batteria tellurica che di tanto in tanto rallenta per farci rifiatare. 
Si tratta di un album assolutamente d'atmosfera, pregno di pathos e di energia: forse non ha riscosso tutta l'attenzione che si meritava, ma egoisticamente preferisco così, mi piace vederlo come un segreto ben custodito e prezioso, non per tutti.
PS Un dovuto ringraziamento proprio a Michael, che ha portato alla mia attenzione questa band che, lo ammetto, avevo sempre sottovalutato!





Osi and the Jupiter - "Appalachia"
"Peccato sia solo un EP!" Questa la mia esclamazione al termine del primo ascolto di quest'ultima fatica targata OatJ. Una raccolta di canzoni intrise di folk atmosferico e suggestivo, nella quale confluiscono elementi di drones e synth per una dichiarazione d'amore del Musicista nei confronti della sua Terra.
Anche se di norma non sono propenso all'ascolto degli EP ho adorato queste canzoni, si ricollegano direttamente al suono che il Nostro aveva sviluppato in "Halls of the Wolf", salvo poi metterlo in parte da un lato per concentrarsi sulla matrice più synth.
Un po' come altri dischi qui recensiti, siamo di fronte ad un omaggio di un musicista alla sua terra, al luogo in cui è cresciuto e vissuto, alle sue tradizioni: e quando si è mossi da motivazioni così profonde e "sentite" il risultato non può che essere notevole.
Accantonate le contaminazioni "norrene", Osi and the Jupiter ci regala un EP di rara bellezza e passione.





Monastery - "Dream Weapons pt 1"
"Peccato sia solo un EP!", parte seconda. Eh sì perché in un anno così particolare non potevo non mettermi ad ascoltare gli EP! Torna Robb Kavjian (1476) con il suo progetto solista ambient synth, ampliando con questi due pezzi le atmosfere oniriche già tratteggiate con "The Garden of Abandon", anche se stavolta il background sembra essere diverso. Siamo sempre dalle parti di quel "fantasy synth" a tratti fiabesco e misterioso che ha caratterizzato il disco precedente, ma qui sembra di aver varcato la soglia di un mondo nebbioso, crepuscolare, non così benevolo come poteva essere il precedente. La componente magica ed esoterica sembra aver preso notevolmente piede, trasformando i venti minuti di disco in un viaggio onirico e fuori da ogni epoca, per lo più dolce e ovattato, ma nel quale si intravedono squarci di buio intenso e di freddo. 
Non avrebbe avuto senso inserire questi pezzi nel lavoro precedente, e in questo va dato atto a Robb di aver optato per la scelta più giusta: chissà se il futuro del progetto avrà questi connotati!


https://monasteryhymns.bandcamp.com/album/dream-weapons-vol-1


My Dying Bride - "The Ghost of Orion"
Il mio cuore da appassionato di doom albionico anni Novanta ha avuto un sussulto quando ha scoperto il nuovo lavoro della Sposa Morente. Nella mia personale classifica "a tre" (Anathema, My Dying Bride e Paradise Lost) i Nostri hanno guadagnato la prima posizione uscita dopo uscita, scavalcando i miei beniamini Anathema che, alla fine, poco hanno spartito con la scena. I MdB si sono dimostrati sempre fedeli alla nera fiamma del doom, modificando poco o nulla le loro coordinate, e va bene così, le certezze occorrono.
Questo lavoro è figlio di un periodo difficilissimo della band, che ne è uscita quasi distrutta salvo poi risollevarsi con un disco che forse non sarà perfetto, forse suonerà un po' prolisso, a tratti stanco, ma che si caratterizza per una classe e delle atmosfere che pochi album e gruppi possono vantare, soprattutto dopo momenti di crisi così profonda.
Eppure ci sono delle note diverse, a cominciare dalla voce di Aaron, che in clean si dimostra ancor più sincero e umano, per passare a continue concessioni alla melodia e all'orecchiabilità, che culminano con un pezzo, forse messo appositamente a metà della tracklist, che poco sembra aver da spartire con i Nostri. C'è però, forte, la radice marcia e disperata dei primi MdB, che emerge soprattutto nella seconda parte del lavoro, e che assieme alla controparte più "orecchiabile" rende "The Ghost of Orion" in grado di accontentare e allo stesso tempo scontentare tutti. Ma questi sono i My Dying Bride, e onestamente non volevo aspettarmi niente di diverso!





Jesu - "Terminus"
Quando parte un disco di Jesu sai già come ti troverai di lì a qualche istante: sarai immerso nei tuoi ricordi, in quelli più agrodolci, o ti sentirai come in una di quelle giornate tardo autunnali fredde, umide, ovattate e fuori dal mondo.
"Terminus" per fortuna non fa differenza, con un Justin Broadrick che a tratti sembra rispolverare i lidi gloriosi di "Conqueror", quindi quella miscela di dream/shoegaze e alternative marchio di fabbrica del Nostro. Purtroppo non tutti gli episodi sono all'altezza della fama di Jesu, ma sono abilmente controbilanciati da momenti assolutamente deliziosi nel loro incedere barcollante e sospeso. 
Un disco perfetto per questa stagione, ascoltatelo ora prima che arrivi la bella stagione!





Old Growth - "Mossweaver"
"Quanto mi è mancato il Cascadian Black Metal", parte seconda! Progetto a me sconosciuto che mi ha fatto conoscere il buon Marcello (leader e voce dei nostrani Enisum, che ringrazio!), anche qui siamo al cospetto di un bellissimo lavoro tranquillamente riconducibile al Cascadian, nello specifico alle frange più "sciamaniche" e ritualistiche (Fauna su tutti). Diversamente dagli americani qui è forte anche una componente che ho ritrovato in tante band blackcore tedesche (non a caso terra natìa di Old Growth), un piglio orgoglioso e fiero che, non lo avrei mai detto, ben si sposa con i paesaggi che il Nostro vuole tratteggiare.
Un bell'ascolto, malinconico, evocativo, rituale e aggressivo al punto giusto, una bellissima scoperta!





Envy - "The Fallen Crimson"
Il 2020 vede il ritorno sulle scene dei giapponesi Envy... E che ritorno! Inaspettato, anche e soprattutto da un punto di vista sonoro.
La ferocia screamo/postHC degli esordi si è andata pian piano mitigando, disco dopo disco, fino ad arrivare a questo lavoro, forse il più easy listening dei Nostri, di certo non il meno bello, anzi! Per quanto mi riguarda tra i loro migliori dischi. Nei vari pezzi si rincorrono echi dei vecchi Envy, di Alcest, So Hideous, e tanto languido e melodico post rock. Volete un esempio? "A Step in the Morning Glow" è il brano che vi propongo, una delle cose più emotive, passionali e intense che i Nostri abbiano mai composto.
Tra i migliori lavori di questo anno!






AAVV - "The Forme To The Fynisment Foldes Ful Selden (Dark Britannica IV)"
Chiudiamo con una raccolta.
Il 2020 mi ha permesso di appassionarmi alla serie "John Barleycorn - Dark Britannica", quattro album pubblicati dall'etichetta inglese Cold Spring e dedicati all'esplorazione dell'anima più folk e oscura dell'universo musicale e letterario inglese. Gli album sono usciti nel corso degli anni, ma solo nei mesi scorsi ne sono giunto a conoscenza, e vista la mia passione da una parte per queste sonorità, dall'altra per la terra di Albione, non ho esitato a procurarmeli. Il disco qui recensito è l'ultimo pubblicato, degno finale di una serie affascinante e ricca di ottimi spunti. Al suo interno troverete nomi più o meno conosciuti, tutti comunque afferenti più o meno direttamente all'universo folk britannico: le sonorità sono le più disparate, si va da estremi minimali chitarra e voce a lidi di elettronica rumoristica o spoken word.
Nonostante la qualità dei brani scelti non sia sempre altissima sono presenti alcune gemme preziose che rendono la raccolta assolutamente degna di essere ascoltata (e acquistata, se siete amanti degli artwork fatti bene!).





E' tutto, alla prossima retrospettiva targata 2021, sperando in un anno migliore da un punto di vista delle pandemie!

giovedì 10 dicembre 2020

Quella maledetta speranza


E' la storia più vecchia del mondo, è "l'amor che move il sole e l'altre stelle", è una vicenda trita e ritrita che quando la senti, descritta dalla bocca degli altri, ti sembra la cosa più scontata di questa terra, ma quando la vivi ti pare quasi che nessuno ti capisca.

Ti ritrovi da solo, immerso nei pensieri, con in mano una sua foto strappicchiata cercando di capire dove hai sbagliato, sommerso da ondate di rabbia, orgoglio e malinconia, e rivivi i tuoi ricordi. Ripensi a quando l'hai conosciuta, a quanto non avresti scommesso niente su quella storia. E invece ci sei cresciuto con quella persona, imparando a conoscerla, ad apprezzarla, ti sei aperto con lei, e lei stessa è sembrata volersi schiudere pian piano. Giorno dopo giorno il calore è aumentato, l'amore cresciuto, le distanze si annullavano quando bastava una telefonata o un messaggio, un "ti amo" sussurrato, ed eri a posto per tutto il giorno.Poi, un giorno, qualcosa cambia: vuoi di più, lei di meno; hai bisogno della sua presenza, ti sembra di percepire i suoi cambi di umore nel passaggio delle nuvole o nella casualità delle cose, senti una paura sotto pelle, senti scivolare via tutto, e provi ad aggrapparti con rabbia a quello che ti rimane. Ma i suoi vestiti si fanno sabbia che si disperde tra le tue mani, le tue parole non sembrano uscire come vorresti, e il sassolino sul pendio perde il suo ultimo grado di equilibrio iniziando così la sua rovinosa caduta a valle. E alla fine, dato che di fine si parla, cosa ti rimane? Ricordi, orgoglio, rammarico per qualcosa che avresti potuto fare diversamente, e rabbia. C'è però, in fondo, ancora un po' di calore, una fiammellina che incurante del vento che ha intorno continua imperterrita a bruciare. E' la speranza, quella maledetta, bastarda speranza che ti fa svegliare ogni mattina. Per recuperare quanto è andato perso? Forse. O forse per ritrovare da altre parti, in altre persone, quelle stesse sensazioni che hai provato e che ti hanno fatto stare bene. Perché alla fine amore, morte, cuori spezzati, tutto fa parte della "mortal way", è tutto un cerchio che, incurante di noi che ci stiamo nel bel mezzo, segue il suo percorso. E tu sai, anzi speri, che alla fine tutto ricomincerà, per poi magari finire di nuovo (chissà!), ma intanto daresti un braccio per rivivere le stesse sensazioni.

Il nuovo lavoro di Chiral è un disco che parla di assenza, di commiati, di parole sussurrate e di vetri infranti da una rabbia cieca. La visione del Nostro si è spostata pian piano dall'esterno all'interno, da una contemplazione di quello che c'è fuori a quello che c'è dentro ognuno di noi, al nostro io. E' un disco intimo e sofferente perché tocca corde sensibili, che tutti abbiamo e alle quali non possiamo rimanere indifferenti. Il black atmosferico, reminiscente degli inizi depressive di Chiral, si fa qui ancora più intenso, imbastardito da momenti post (rock e metal), da suggestioni folk e da drones che qui e là spuntano a straniare l'ascoltatore. E' un disco fatto di binomi, presenza/assenza, amore/odio, gioia/paura, caldo/freddo: ora ti sferza, ora ti accarezza, ti scombussola con riff taglienti così come con nenie dolci e malinconiche. E' un lavoro, questo "Hope", da considerarsi come la fine del trittico composto dai precedenti "Night Sky" e "Gazing Light Eterninty": qui tutto si fonde, si ricongiunge, si tirano le fila del discorso e ci si prepara per quello che sarà. 

Ascoltatelo ora, con questa stagione, in casa davanti a un fuoco magari, e pensate a quante ne avete passate e quante ve ne succederanno, anche a partire da domani. Disco curativo.

That Little Wormhole You Called Heart

https://www.debaser.it/chiral/hope/recensione