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giovedì 10 dicembre 2020

Quella maledetta speranza


E' la storia più vecchia del mondo, è "l'amor che move il sole e l'altre stelle", è una vicenda trita e ritrita che quando la senti, descritta dalla bocca degli altri, ti sembra la cosa più scontata di questa terra, ma quando la vivi ti pare quasi che nessuno ti capisca.

Ti ritrovi da solo, immerso nei pensieri, con in mano una sua foto strappicchiata cercando di capire dove hai sbagliato, sommerso da ondate di rabbia, orgoglio e malinconia, e rivivi i tuoi ricordi. Ripensi a quando l'hai conosciuta, a quanto non avresti scommesso niente su quella storia. E invece ci sei cresciuto con quella persona, imparando a conoscerla, ad apprezzarla, ti sei aperto con lei, e lei stessa è sembrata volersi schiudere pian piano. Giorno dopo giorno il calore è aumentato, l'amore cresciuto, le distanze si annullavano quando bastava una telefonata o un messaggio, un "ti amo" sussurrato, ed eri a posto per tutto il giorno.Poi, un giorno, qualcosa cambia: vuoi di più, lei di meno; hai bisogno della sua presenza, ti sembra di percepire i suoi cambi di umore nel passaggio delle nuvole o nella casualità delle cose, senti una paura sotto pelle, senti scivolare via tutto, e provi ad aggrapparti con rabbia a quello che ti rimane. Ma i suoi vestiti si fanno sabbia che si disperde tra le tue mani, le tue parole non sembrano uscire come vorresti, e il sassolino sul pendio perde il suo ultimo grado di equilibrio iniziando così la sua rovinosa caduta a valle. E alla fine, dato che di fine si parla, cosa ti rimane? Ricordi, orgoglio, rammarico per qualcosa che avresti potuto fare diversamente, e rabbia. C'è però, in fondo, ancora un po' di calore, una fiammellina che incurante del vento che ha intorno continua imperterrita a bruciare. E' la speranza, quella maledetta, bastarda speranza che ti fa svegliare ogni mattina. Per recuperare quanto è andato perso? Forse. O forse per ritrovare da altre parti, in altre persone, quelle stesse sensazioni che hai provato e che ti hanno fatto stare bene. Perché alla fine amore, morte, cuori spezzati, tutto fa parte della "mortal way", è tutto un cerchio che, incurante di noi che ci stiamo nel bel mezzo, segue il suo percorso. E tu sai, anzi speri, che alla fine tutto ricomincerà, per poi magari finire di nuovo (chissà!), ma intanto daresti un braccio per rivivere le stesse sensazioni.

Il nuovo lavoro di Chiral è un disco che parla di assenza, di commiati, di parole sussurrate e di vetri infranti da una rabbia cieca. La visione del Nostro si è spostata pian piano dall'esterno all'interno, da una contemplazione di quello che c'è fuori a quello che c'è dentro ognuno di noi, al nostro io. E' un disco intimo e sofferente perché tocca corde sensibili, che tutti abbiamo e alle quali non possiamo rimanere indifferenti. Il black atmosferico, reminiscente degli inizi depressive di Chiral, si fa qui ancora più intenso, imbastardito da momenti post (rock e metal), da suggestioni folk e da drones che qui e là spuntano a straniare l'ascoltatore. E' un disco fatto di binomi, presenza/assenza, amore/odio, gioia/paura, caldo/freddo: ora ti sferza, ora ti accarezza, ti scombussola con riff taglienti così come con nenie dolci e malinconiche. E' un lavoro, questo "Hope", da considerarsi come la fine del trittico composto dai precedenti "Night Sky" e "Gazing Light Eterninty": qui tutto si fonde, si ricongiunge, si tirano le fila del discorso e ci si prepara per quello che sarà. 

Ascoltatelo ora, con questa stagione, in casa davanti a un fuoco magari, e pensate a quante ne avete passate e quante ve ne succederanno, anche a partire da domani. Disco curativo.

That Little Wormhole You Called Heart

https://www.debaser.it/chiral/hope/recensione

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