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martedì 21 maggio 2013

Bachelor party


Addio al celibato “privato” (che si differenzia dal probabile addio al celibato “pubblico” che potrebbero organizzarmi i miei amici per il fatto che ero in compagnia di me stesso), destinazione: Romagnano Sesia, ameno paesello sulle sponde di un fiume nell’alto Piemonte, per godermi il concerto del (forse) mio gruppo preferito, gli americani Agalloch.
Con le minacce di un nubifragio in atto tra Liguria e Piemonte salgo in macchina quando a Siena stava sbucando un timido sole autunnale (siamo a maggio ma sembra a tutti gli effetti settembre). Partono i Massive Attack, “100th Window”: bel disco certo, ma sento subito che non è quello giusto… E nemmeno tutti i miei vari dischi black mi sembravano adatti, per questo lungo viaggio (quasi cinque ore, passando per Genova eppoi su fino in Piemonte) ci voleva qualcosa che mi permettesse di guardarmi un po’ dentro e contemporaneamente alle spalle, visto che doveva essere una sorta di tappa intermedia in direzione del fatidico 13/07. E così prendo la penna USB e metto su la mia compilation di pezzi anni Novanta, e si parte.
Chi mi conosce sa bene quanto possa essere sentimentale e nostalgico, e quanto visceralmente sia attaccato, da un punto di vista musicale, a quella decade, nella quale ho scoperto la musica, ho iniziato ad apprezzare i video musicali ed i CD, e della quale non posso che avere dolci ricordi. Il bello di questi pezzi è che li ho selezionati in base ai video: ho ben impresse nella mente le mattine passate a fare colazione guardando MTV prima di andare a scuola, o i pomeriggi, mentre facevo i compiti, sempre accompagnato da quelle immagini e da quei suoni che, a posteriori e confrontandoli con la spazzatura che circola per radio e tv oggi, erano davvero oro.
Eppoi,km dopo km, inizio a cantare, sempre più forte… Roba mai fatta, io che odio la mia voce e che mi ritengo stonato ai massimi livelli! Si vede che lo specchio musicale stava realmente iniziando a riflettere il mio io, che veniva fuori con un suono magari sgraziato, ma di certo carico di passioni, ricordi, e con un sorriso stampato sulle labbra.
All’altezza di Genova, tra una galleria e uno scorcio sul mare impensabilmente illuminato dal sole, nonostante le previsioni, il crollo. “Will you stay with me, will you be my love, Among the fields of barley? We'll forget the sun in his jealous sky, as we lie in fields of gold” dice Sting, e istintivamente guardo verso il sole e le montagne, e sento gli occhi gonfiarsi di lacrime… Il bello è che non so dire a cosa stavo pensando, a tutto e niente di fatto, ma una serie di immagini, di flash su presente, passate e future hanno creato un’alchimia con il pezzo devastante.  Che su un lentone come quello ci può anche stare, ma non so “Everlong”… Questo pezzo ha qualcosa di speciale, con tutto che non ho mai realmente considerato i Foo Fighters band da “disco” ma da “singolo” (quindi quasi di serie B nella mia spocchiosa percezione) questa canzone mi ha sempre dato i brividi per come sa essere cupa, disperata, rabbiosa ma insieme dolce, tenera e protettiva. Anche qui stesso discorso, immagini miste, spezzoni di video misti a vita reale, e giù lacrime.
Passata questa parentesi ligure in Piemonte il tenore è stato diverso, più proiettato verso il futuro, quindi sempre cantando come uno scemo, sempre ridendo e parlando da solo, ma niente lacrime. E magia delle magie, la fine dell’ultimo pezzo è coincisa con il mio arrivo a destinazione: sullo note di “Your Woman” dei White Town ho spento il motore e sono sceso di macchina.
Il concerto da solo è stata un’altra esperienza per me strana: non mi era mai successo di essere solo in un’occasione del genere, ma sempre restando sul tema della giornata volevo vedere come stava il mio io in mia compagnia, soli (in mezzo a altri, ovvio) in una bella serata di musica live. E così è stato: ingresso nel  locale in piena tranquillità, atmosfera rilassata, eppoi, luci spente e totale immersione nella musica.
I Fen li conoscevo, ma non mi aspettavo una prova così muscolare da vivo, mi sono davvero piaciuti… Gli Agalloch beh, nemmeno ce le spreco delle parole… Mancano forse di ritualità, e sebbene ci stiano lavorando su non sono ancora sul piano di gruppi come i Wolves In The Throne Room, ma questo solo se vogliamo davvero cercare il pelo nell’uovo… Poi, quando ti chiudono il concerto con un pezzo come questo c’è poco da fare, emotività a palate!
Il giorno successivo, con le orecchie che ancora erano riempite da quel “fiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii” fastidiosissimo, risultato di un'esposizione prolungata a suoni un po' altucci, faccio colazione e riparto alla volta di Siena. Stesso tragitto dell’andata, stavolta sotto una pioggia abbastanza insistente al confine tra Piemonte e Liguria, stessa colonna sonora dell’andata, ma un posto vuoto accanto: il mio io non c’era più, o meglio, non era più percepibile come all’andata, ma non l’ho presa male. Di fatto ci eravamo detti già tutto, non c’era bisogno di sprecare altre parole… Ho pensato solo a una frase di Scrubs, che non ricordo nitidamente, ma che diceva che le migliori chiacchierate sono i silenzi complici e tranquilli che vivi con certe persone, che quando se ne vanno sembra di averci fatto la migliore conversazione della tua vita. Per alcuni amici, ottimi amici, e per certe persone, ciò è vero, ma non sapevo si potesse dire anche di me stesso.
In fondo questo viaggio mi è servito a una cosa: ho capito che, tutto sommato, in mia compagnia mi trovo bene, è che non sono poi così malvagio come persona… Almeno quando sto in silenzio!

Woodsmoke


 
Questa musica odora di legno bruciato e di falò, ha il suono delle foglie che scricchiolano e dei rami secchi che scoppiettano e si rompono al calore della fiamma. Sulla pelle è umida come la nebbia autunnale, come la nebbia è densa e ovattata, sospende il tempo e lo spazio e ti lascia solo pochi sensi a disposizione.
Nei ricordi e nella mente è panteismo ed immersione nella natura, è momentanea pace con il mondo , e si materializza in un sorriso che ha del malinconico.

Once we played in this forest in the shade of the tall trees
at the dawn of this particular time.
But many an aeon has passed since and many a fate has changed.
...And our great woods died. No new seeds have been planted for ages
And those that were have been torn out from the soil.


Last Vestige Of Old Joy

martedì 14 maggio 2013

Ginny e Neve


Stamattina, prima di iniziare a lavorare, ho aperto una pagina web di un sito che visito spesso, e uno sguardo, a me stranamente familiare, ha attratto la mia attenzione: due occhioni chiusi, un musone schiacciato a terra, un’immagine che avevo ben presente, mi ha quasi chiamato a sé.
Via via che discorrevo lo scritto i miei occhi si sono lentamente riempiti di lacrime: non ho pianto solo perché ero a lavoro, ma dentro di me, leggendo quelle righe, una serie di immagini prendevano vita e attraversavano i miei occhi come se le avessi davanti in quel momento. Qualcuno alla fine dell’articolo commentava: “il cane, forse più di tutti gli altri animali domestici, tende ad assorbire molto del padrone, fino ad arrivare quasi ad assomigliargli, a esserne una sorta di estensione. Così poi quando muoiono si prova una sensazione strana. Quando successe a me provai dolore certo, ma non come quello della perdita di un famigliare e nemmeno un amico, era come se non avessi più una mano, un piede, un braccio, qualcosa di simile. Se ne vanno e si portano via per sempre una parte di te, spesso la migliore.”
Questa persona ha tradotto perfettamente ciò che ho sempre creduto anche io: i cani non sono animali domestici, non sono parte della famiglia, ma sono parte di te, sono una proiezione di parte del tuo carattere, vibrano al vibrare della tua anima e rispondono di conseguenza… Si plasmano in relazione al padrone, accogliendone e facendo propri pregi e difetti del carattere: penso alla mia cucciola, che come me è ombrosa, selettiva nelle conoscenze, maniacale nell’ordine delle sue cose e nella casa (mai i giocattolini fuori posto, e non ti azzardare a lasciare qualcosa che non vuole sul tavolo di casa…)… Penso alla mia cucciolona, che non abita con me da ormai qualche anno ma è rimasta a casa dei miei, ma che per me è come una sorellona, una “cavallona” che ho sempre adorato abbracciare, stringere a me, con la quale ho sempre fatto la lotta nel bosco e che, quando ero malato e con la febbre, mi si piazzava (spesso) sopra, con le zampe distese e il muso appoggiato al petto, e lì restava a lungo, alzandosi e allontanandosi solo per qualche minuto. Adesso Neve è anziana, ha 12 anni, nell’animo sarebbe ancora cucciola, ma il fisico, ahimè, sta cedendo. Ogni tanto provo a pensare a cosa succederà quando non ci sarà più, a come se ne andrà, ma la mia mente si blocca, e le lacrime spingono sulle palpebre: non è giusto pensarci adesso.
Ginny, di quasi tre anni, e Neve, così come Charlie e Stella prima di loro, hanno dato e stanno dando tanto alla mia vita, chiedono poco o niente in cambio, solo affetto e carezze: sono fiero dei miei due cani.
Grazie Ginny, grazie Neve, e grazie autore di questo articolo che mi hai fatto pensare a questa cosa.

A Three-Legged Workhorse


giovedì 2 maggio 2013

Ombre



Faceva un bel caldo quella mattina di agosto. Sentivo le cicale cantare in lontananza mentre me ne stavo seduto sugli scaloni della banca, attendendo che aprisse, prima di recarmi a lavoro. C'era una leggera brezza nell'aria, il cielo era parzialmente velato ma non minacciava pioggia... Eppoi un bagliore accecante, un turbine di vento dalla forza indescrivibile, frantumò ogni atomo del mio corpo, e mi sciolse nell'aria: solo la mia ombra testimoniò la mia presenza sul freddo marmo dei gradini di quella banca, che l'esplosione rase totalmente al suolo.



Quella tegola doveva essere sistemata: appena seppi che l'indomani non avrebbe piovuto preparai tutti i miei attrezzi ed andai a dormire. La mattina appoggia la scala al tetto, poi rientrai in casa per prendere il necessario e uscii nuovamente.
Avevo appena messo un piede sulla scala quando vidi con la coda dell'occhio l'ombra che proiettavo in terra espandersi a dismisura: mi voltai verso quello che credevo essere il sole ma sentii la mia retina bruciarsi immediatamente. Non ebbi il tempo di gridare, di me non rimase che il vapore, e un'ombra fusa assieme a quella della scala appoggiata al muro di casa.


Sky burial



Si recò a dormire, come al solito, ma al mattino seguente non riaprì gli occhi. La sua vita era stata lunga, ricca di soddisfazioni, votata alla propria fede e ai propri ideali, non aveva rimorsi e la sera, prima di addormentarsi, aveva provato un senso di pace maggiore del solito. Non che non avesse mai provato una sensazione simile: la sua religione, il suo credo, gli avevano fatto assaggiare, giorno dopo giorno, momenti di estasi, ma stavolta era diverso, sentiva che tutti i pezzi del puzzle che componevano la sua esistenza si erano finalmente composti, aveva visto il quadro finale, e si era addormentato con la pace nel cuore.
L'indomani, dalla cima dei cieli nella quale la sua anima si era recata una volta abbandonato il corpo, poté osservare la scena. Alcuni uomini, suoi amici di vecchia data, si recarono in camera sua, sollevarono le sue membra, le spogliarono e le portarono fuori dall'edificio, intonando una nenia e accompagnando i loro passi da scampanellii ipnotici e cadenzati. Una volta all'esterno ecco arrivare il tomden: dalla bisaccia tirò fuori un enorme coltello, e una volta affilato fece depositare il corpo sulla nuda terra, e, dopo aver alzato gli occhi al cielo e cinto le mani più e più volte, iniziò il suo rituale.
La lama fredda incideva le carni fredde, che a brandelli cadevano sulle fredde rocce: pezzo dopo pezzo il suo corpo venne spogliato un'altra volta, le sue interiora, le sue fibre, i suoi muscoli, tutto venne esposto al gelido vento mattutino. La giornata era splendida: non una nuvola, solo un sole alto e splendente, e da lassù la sua visuale era perfetta. Non aveva un minimo di rimorso nei confronti di ciò che stava accadendo, non provava dolore né sofferenza né orrore: aveva già visto scene simili, vi era abituato, e non lo smuovono.
Una volta terminato il lavoro il tomden si alzò: “Shey, shey” disse, alzando gli occhi al cielo e indirizzandoli verso gli avvoltoi che si erano intanto radunati sopra il corpo, volteggiando lenti richiamati dall'odore della carne e dal fuoco del ginepro, acceso poco prima. Fece qualche passo indietro, alzò entrambe le braccia come per abbracciare i volatili, i quali avevano iniziato la loro discesa verso il cadavere. Quando ormai tutti quanti furono sopra di esso non fu più possibile vedere niente, se non le loro spalle ricurve e i loro becchi che scendevano verso terra, lì rimanevano per qualche secondo, eppoi risalivano, trasportando qualche brandello rossastro. Dopo qualche minuto cominciarono a sciamare, e solo allora fu possibile vedere quanto era rimasto delle sue spoglie: solo le ossa, legnetti bianchi sparsi alla meglio sulla terra spoglia. Il tomden sorrise, alzò di nuovo gli occhi e congiunse le mani in segno di preghiera. Lo stesso fece lui, dalla cima dei cieli: guardò in basso con gratitudine verso quel santone, guardò gli avvoltoi, ormai lontani dalla carcassa, e li ringraziò. “Shey, shey” disse loro.
Poi chiuse gli occhi e si preparò: questa parentesi era durata sin troppo, era ormai tempo di prepararsi a rinascere, era tempo di iniziare nuovamente il grande ciclo della vita.
Gli spagnoli Apocynthion sono l'ennesima scoperta in casa Pest Productions. Possiamo tranquillamente inserire la proposta del quartetto nel tanto bistrattato post black metal, genere che deve la sua notorietà a ensemble come Alcest, Amesoeurs, Austere, Les Discrets, e tanti altri. Nello specifico quanto suonato dai nostri potrebbe essere definito “blackgaze”, uno shoegaze tinto dalle oscure accelerazioni del black e solcato dal gelido scream del cantante, che spesso si avvicenda con un pulito impostato che molto deve alla dark wave. Con “Sidereus Nuncius” i Nostri mirano a descrivere il fragile equilibrio che esiste tra l'uomo e l'universo che abita, tentano di trasportare l'ascoltatore verso mondi lontani, di strapparlo alla propria realtà mettendolo di fronte alla propria piccolezza, e ci riescono splendidamente grazie a sette pezzi di durata medio lunga carichi di pathos, atmosfera, candide digressioni strumentali e sanguigne partiture black.
Se amate i gruppi sopra citati e cercate un disco dalle grandi potenzialità e in grado di stupirvi più volte durante l'ascolto non potete non ascoltare questo lavoro, tra le sorprese di questo 2013.

Redshift

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