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domenica 15 dicembre 2013

2013: a (metal) retrospective

Un'annata particolarmente ricca dal punto di vista musicale questa che sta per chiudersi, che ha saputo regalarmi moltissime sorprese musicali, non necessariamente metal. Una conferma su tutte, il "Cascadian Black Metal", derivazione atmosferico/ambientalistica del black metal a stelle e strisce che si è guadagnato ancora una volta il trono del mio genere musicale preferito... Ma c'è anche altro!

Thränenkind - "The Elk"
Splendido LP di esordio di questi tedeschi, a grandi linee facenti parte del post black metal, anche se ascoltandoli non tardano a saltare all'orecchio tante altre influenze del gruppo: depressive (rock e metal che sia), post hardcore, post rock, il tutto si mischia in maniera uniforme in questo lavoro. Le canzoni si susseguono mantenendo un mood disperato e malinconico di fondo, ma mutando di volta in volta il modo in cui questo viene comunicato: all'orecchio giungono echi di Katatonia (fase "mediana"), Lantlos, Amesoeurs, Fall Of Efrafa, The Elijah, Explosions in The Sky, band molto diverse tra loro che paiono aver trovato un tratto comune in questo disco.
Album che cresce alla distanza e rimane intatto nel tempo, basta solo farvi catturare dalle sue grigie trame.




Locrian - "Return To Annihilation"
I Locrian hanno saputo mettere in musica l'annientamento, la nebbia, la paura e la sensazione di impotenza di fronte a un qualcosa più grande di te. Senza guardare in faccia a nessuno, senza cercare per forza consensi, i Nostri colpiscono l'ascoltatore con un maglio fatto di black metal, noise, ambient, post rock e drone, giungendo addirittura a lidi psichedelici stranianti a spaziali (devono aver ascoltato "A Saucerful Of Secrets"!!!): il risultato? "Return to Annihilation" spiazza dall'inizio alla fine, impaurisce ed irretisce, è una continua sorpresa anche se lo hai già ascoltato venti volte, e ti costringe quasi a premere nuovamente "play" una volta che è terminato. Straziante e lacerante.




Lux Interna - "There is Light in the Body There is Blood in the Sun"
Che sorpresa! I Lux Interna sono un combo di Neofolk made in USA, un gruppo che, nonostante suoni un genere a me abbastanza lontano (nonostante sia una delle radici di molti gruppi che ascolto), mi hanno colpito e stregato sin da subito. Merito dell'aspetto rituale e purificatorio della loro musica, sebbene presenti una certa oscurità di fondo che è rintracciabile, se spogliati dal black metal, anche in band come Alda, Wolves in The Throne Room e simili (quindi comunque gruppi “cascadiani”, della zona del Pacific North West).
Per ricreare le caratteristiche vincenti citate poco sopra i Nostri si sono basati molto sulla ripetizione continua di strutture e voci e sull'uso di strumenti “tipici” della cultura delle First Nations, appagando l’ascoltatore donandogli un senso di pace e di unione con la natura; la voce del cantante poi molto mi ha ricordato il Lanegan di “Bubblegum”, il Cave delle “Murder Ballads” e, a sprazzi, anche il Lou Reed di “Venus in Furs”.
Insomma, una proposta interessante da provare sia per gli amanti del (Neo)folk che per quelli del black Cascadian, che magari possono ritrovare in questo disco le stesse sensazioni provate con altre band.




Apocynthion - "Sidereus Nuncius"
Post black metal sulla scia di Alcest, Amesoeurs, Austere, Les Discrets, Lantlos... Ma non solo. Con "Sidereus Nuncius" gli spagnoli ci trasportano in una dimensione priva di coordinate spaziotemporali, cullandoci con ritmiche ipnotiche tipicamente darkwave e sferzandoci con improvvise accelerazioni black, e regalandoci un lavoro che è uscito in sordina ma che in poco tempo si è fatto conoscere ed apprezzare da un pubblico (relativamente, per il genere suonato) vasto.




Sadhaka - "Terma"
Poteva mancare il Cascadian Black Metal in questa lista? Ovviamente no! Dal nulla sono spuntati questi Sadhaka, che con "Terma" hanno saputo donarmi un disco che è entrato direttamente tra i miei preferiti nel genere. Non siamo di fronte a dei novellini: nel gruppo militano membri dei già più conosciuti Fauna, che qui sono citati nel loro spiccato sciamanesimo, componente fondamentale della musica dei Nostri assieme alla rabbia tipica dei Wolves in the Throne Room, alla furia cieca degli Addaura e all senso della melodia e dell’atmosfera tipico degli Alda o degli Skagos.
Dopo "Terma" sono spariti nuovamente nel fitto delle foreste del nordovest... Speriamo per registrare un nuovo capolavoro!

SADHAKA



Fauna - "Avifauna"
Eccoli anche i Fauna, citati nell'articolo sopra riportato, tornati alla ribalta dopo alcuni anni di anonimato e finalmente in grado di regalarci un disco di Cascadian Black Metal veramente imponente, sia da un punto di vista musicale che per il minutaggio (i pezzi vanno dai 17 ai quasi trenta minuti di durata). Questa scelta non costituisce un tentativo di "allungare il brodo" ma permette alla band di dispiegarsi in tutto suo crescendo emotivo, partendo magari da una semplice base acustica, o da un cinguettio di uccelli, per poi crescere di intensità con ritmiche che rievocano rituali sciamanici o paesaggi notturni caratterizzati da una natura imperante. Se cercate la traduzione del termine "sciamanico" in musica ascoltatevi "Avifauna".

FAUNA



Amiensus - "Restoration"
Il 2013 è stato l'anno della Pest Productions, etichetta cinese che ha messo a segno un colpo dietro l'altro (Apocynthion e Sadhaka fanno parte del suo rooster assieme ad altre realtà molto interessanti come Vallendusk o Stellar Descent), e gli Amiensus rientrano di diritto tra i loro gruppi più promettenti.
Questi ragazzi suonano quello che a un primo ascolto sembrerebbe essere un Symphonic Black Metal sulla scia degli Emperor, ma basta solo ascoltare la tracklist del loro "Restoration" per capire che non c'è solo questo: c'è una forte attrazione nei confronti del progressive, del folk, del Cascadian, il tutto collegato da uno spiccato senso della melodia che in più di un'occasione colpisce diritto il bersaglio.
Non bollateli come cloni ma date loro tempo di crescere dentro di voi, e capirete di avere tra le mani un lavoro davvero degno di nota!




Sombres Forêts - "La Mort du Soleil"
I Sombres Forêts sono il progetto di Annatar, musicista del Québec già visto all'opera nei Miserere Luminis: due band queste che, assieme ai Gris, costituiscono una triade di tutto rispetto nel panorama black di questa regione del Canada. "La Mort du Soleil" è un disco dirompente nella sua disperata teatralità, sontuoso, sofferente e colto, un disco forse meno intransigente dei Gris, forse meno avanguardistico dei Miserere Luminis (ma guai a non definirlo ricercato!), ma di gran lunga, almeno per me, più fruibile, distruttivo (sul piano psicologico) e coinvolgente. E quella copertina poi ne è degna presentazione e sintesi.




Encircling Sea - "A Forgotten Land"
Si può suonare "cascadiani" pur vivendo dall'altra parte di queste zone? La risposta è sì, se si segue quanto fatto dagli australiani Encircling Sea. Se si ignora infatti la provenienza geografica dei Nostri questo "A Forgotten Land" sembrerebbe quasi essere frutto del sottobosco del nordovest americano, tale è la potenza e il senso di ritualità e comunione con la natura ricreato dalla band. Brani che partono lenti, crescono grazie a riff che si assommano e si fondono gli uni con gli altri, per poi esplodere, annodarsi attorno al tuo collo, e rilasciarti solo quando sei a un passo dal soccombere. Passionali e feroci.




Hanging Garden - "At Every Door"
Abbandonati i canonici e sicuri lidi del doom death che ne ha accompagnato gli esordi, i finlandesi Hanging Garden hanno raggiunto la maturità con questo lavoro, trovando quella che forse è la loro vera natura. Unendo la base doom che da tempo li caratterizza con le progressioni del post metal e la nebbia tipica della darkwave (i The Cure spuntano un po' ovunque!) questi ragazzi hanno saputo finalmente dare un senso alla loro musica, rendendola finalmente riconoscibile e distinguendosi dalla massa. "At Every Door " è un lavoro spiazzante, pesante e leggero al tempo stesso, ora impalpabile, ora denso e ben presente, di sicuro una sorpresa!




Regarde Les Hommes Tomber - "Regarde Les Hommes Tomber"
Altra etichetta che ho imparato a tenere d'occhio, la Debemur Morti ha pubblicato l'omonimo esordio dei Regarde Les Hommes Tomber, ed ha fatto centro.
Tellurici e apocalittici i Nostri si muovono con eccezionale maestria nelle lande infuocate i cui cancelli ci furono aperti ormai qualche anno fa dai Neurosis, facendosi largo tra lo zolfo e le fiamme di una civiltà sull'orlo del collasso a forza di riff post metal e ritmiche black metal. Il suono del crollo della Torre di Babele?




The Flight Of Sleipnir - "Saga"
A sorpresa nel 2013 si sono rifatti vivi anche i "miei" amati The Flight Of Sleipnir, con un lavoro forse meno sanguigno del precedente "Essence Of Nine", ma non per questo meno affascinante. Fautori di un misto tra doom classico, stoner, epic metal, folk, psichedelia e black metal (quest'ultimo solo nella voce e in qualche sfuriata), i Nostri hanno in questo lavoro data maggiore rilevanza al comparto folk e epic, consegnandoci un lavoro forse un po' più atmosferico e fumoso, che comunque lascia trasparire la classe del gruppo e che si fa ascoltare dall'inizio alla fine stregando senza troppa fatica.




Vattnet Viskar - "Sky Swallower"
Altra band USA in grado di regalare brividi agli amanti del "nuovo corso" del black metal... Non siamo in territori Cascadian ma più post black, eppure il risultato non cambia: furia e sezioni ipnotiche e atmosferiche si alternano con estrema fluidità all'interno dei pezzi di questo gruppo, che di certo non inventa niente di nuovo, ma sa donare emozioni forti a chi è alla ricerca di un black un po' più raffinato e non "semplicemente" grezzo e veloce.




...che annata ragazzi!!!

giovedì 31 ottobre 2013

Il cimitero degli elefanti



Quando ero piccolo guardando il Re Leone scoprii una cosa tristissima: gli elefanti, quando sentivano di essere prossimi alla morte, lasciavano il branco per affrontare, da soli, il loro destino. La cosa ebbe su di me un effetto dirompente, come del resto tutto il film in sé.
Con il tempo ho poi scoperto che questa pratica di abbandonare i propri luoghi familiari per morire è comune anche ad altri animali: lupi, cani, gatti, tutti, seppur addomesticati, preferiscono allontanarsi, se sono in grado di farlo, per passare con se stessi gli ultimi momenti di vita. Oggi come allora però non riesco a capire questa cosa: perché se sei stato coccolato, accudito e viziato, vuoi privare i tuoi cari delle tue ultime ore di vita su questa terra?
Ho pensato a tutto questo oggi pomeriggio, quando mio padre mi ha telefonato per dirmi che Neve, la nostra pastore maremmano mista a setter mista a golden, ci ha lasciato dopo anni di lotte contro tanti tumori che ne stavano devastando l'organismo. Neve non abitava più con me da ormai cinque anni, essendomi io trasferito a vivere prima da solo, poi con la mia ragazza (ora moglie), ed avendo già un mio cane, Ginny, una cucciola di Cavalier King di tre anni e mezza, mia (e nostra) immensa gioia. Vedevo Neve solo nel fine settimana, quando andavo a trovare i miei genitori: aveva sempre uno sguardo o una leccatina dolce per tutti, per me, per Ginny, per i micini che, quando entravano in casa, appena la vedevano le si lanciavano addosso per fare tante fusa. Erano però alcuni mesi che camminava molto male: un brutto tumore (uno dei tanti che aveva) si era gonfiato a tal punto da impedirle di muovere quasi del tutto una zampa davanti: i movimenti risultavano lenti e faticosi, complice poi anche l'età che avanzava inesorabile (Neve era nata nel dicembre 2001). Ciò nonostante come detto l'occhio era dolce e vigile, la mente sempre ben presente, rispondeva attivamente quando i miei genitori (e soprattutto mio padre) le parlavano. Sì perché noi in famiglia non abbiamo mai “dato ordini” ai cani, abbiamo sempre parlato con loro, e visti i risultati che ci hanno dato sinora, Ginny compresa, ritengo che sia la cosa più giusta. Ovviamente questo giochino ti porta ad affezionarti ogni giorno di più a queste bestiole, talvolta la razionalità che dovrebbe caratterizzare il tuo cervello di umano evoluto va a farsi benedire, e ti trovi a piangere come un bambino nonostante i tuoi sessanta anni.
Mio padre, in lacrime, mi ha raccontato che Neve è uscita nell'orto, si è scavata una buca e vi si è rintanata, uggiolando solitaria. Quando mia madre, accortasi della sua assenza, l'ha cercata eppoi trovata, l'ha accarezzata più volte, ricevendo in cambio uno sguardo dolcissimo, seppur in procinto di spegnersi. Quando mio padre (che lei ha sempre considerato il suo “vero” padrone) l'ha accarezzata, lei ha smesso di piangere, per poi iniziare ad ululare quando lui si è allontanato. Neve stava male da alcuni giorni, è peggiorata nel giro di poche ore, ma mai, mai si era comportata in quel modo, mai sentita uggiolare di paura o dolore... Ha sempre affrontato tutto in silenzio, e pare che questa forza l'abbia trasmessa anche alla piccola Ginny, che non si lamenta mai, neppure quando sta molto male.
Vedendola in quello stato mio padre ha capito: dio solo sa quanto gli è costato chiamare il veterinario per farla addormentare, dio solo sa quanto ha patito nel vederla viva l'ultima volta... Ma dio solo sa quanto è stata male Neve in questi momenti. Ora quindi mi chiedo: è stato giusto attendere? Forse soffriva molto anche prima ma la sua tempra la portava a non esprimersi in alcun modo, finché il dolore non è stato insopportabile? Io sono stato felice che Neve se ne sia andata a casa sua, ma tutte quelle sofferenze non so se gliele avrei fatte passare... Ed è un bene che l'abbia vista per l'ultima volta quattro giorni fa: l'ho accarezzata, salutata, e ho preso accordi con qualcuno affinché non fosse sola una volta lassù. La mia coscienza è tranquilla, non avrei sicuramente retto nel sentirla in quello stato, visto come reagisco quando Ginny sta male.
Arrivò d'inverno, ero appena rientrato a casa e mio padre me la fece vedere: la presi in braccio, la portai in casa e la misi sul mio letto... Non si è più schiodata dai letti di casa, finché ha potuto! La sera doveva dormire fuori... Sì come no! Mia madre, al tempo abbastanza intollerante nei confronti dei cani, sentendola guaire ed arrampicarsi da sola sulla rete che la separava dal giardino, per venire in casa, fu commossa a tal punto che la liberò e vietò a mio padre di farla dormire fuori, se non espressamente richiesto dalla stessa Neve.
Ricordo i giochi sul letto, le lotte, le corse in corridoio e nel bosco, i pomeriggi passati a studiare con lei sul letto, le volte che, per febbre, me ne stavo a letto (con lei distesa sopra a bloccarmi il respiro)... Ricordo quanto le volevano bene i vari micini, ricordo lei che correva per casa con il povero persiano rosso, Toto, in bocca: lo trattava come un giocattolino! Ricordo le volte che ha ringhiato in presenza di estranei, quando ha difeso la piccola Ginny dall'assalto di un altro cane che la voleva mordere... E ricordo la sua fiera indole di pastore maremmano, che la portò una sera d'estate, con i cinghiali in giardino (erano passati dal cancello che dava sul bosco) a non alzare un dito preferendo osservarli dalla cima delle scale tranquillamente distesa! Cane da pastore sì, ma mica scemo!

Come scrissi in un mio vecchio post, quando penso a lei mi ricordo immediatamente di questo passo de "Il Richiamo della Foresta":
"Mentre Buck li guardava, Thornton s'inginocchiò vicino a lui, e con le sue rozze e affettuose mani cercò se vi fossero ossa rotte. Quando fu sicuro che non vi era niente altro se non molte contusioni e un terribile stato d'inedia, la slitta si era allontanata di un quarto di miglia. Il cane e l'uomo la guardavano strisciare sul ghiaccio.
Improvvisamente videro sprofondare la parte posteriore e il timone, con Hal aggrappato, ergersi nell'aria. Giunse alle loro orecchie l'urlo di Mercedes. Videro Charles voltarsi e fare un passo per tornare indietro, poi un'intera lastra di ghiaccio cedette, e i cani e gli uomini scomparvero. Rimase solo una buca aperta. La pista aveva ceduto.
John Thornton e Buck si guardarono.
- Poveri diavoli, - disse John Thornton.
E Buck gli leccò la mano."

Mi piace pensare che adesso è lassù con una persona che sta già vegliando su di lei, mi piace pensare che parte della sua forza e intelligenza siano passate a Ginny, e mi piace pensare che, anche con lei, un giorno ci riabbracceremo, in un modo o nell'altro.

Ciao Nevona.

Scattered like seeds on the wind,
we fall evermore from the Spring ever-growing,
and we dream of the Cycle’s end.
Asleep at the fire’s edge we await.
Asleep at the fire’s edge we dream and count the Cycles.
Asleep at the fire’s edge we dream and count the passings…


venerdì 20 settembre 2013

Sopravvissuti


Quando hai a che fare con un male che vedi, riesci a combatterlo, al più ad evitarlo... Ma quando non lo vedi cosa puoi fare se non temerlo e fuggirlo? Quando le spore iniziarono a diffondersi nell'aria nessuno riusciva a vederle, potevi solo renderti conto delle conseguenze: gente rabbiosa, impazzita, con gli occhi rossi fuoco che brillavano nella notte come tizzoni, bestie che si muovevano a scatti, che si lanciavano accecati dalla follia contro i poveri sopravvissuti, che nella migliore delle ipotesi morivano massacrati o divorati, nella peggiore... Beh, diventavano anche loro infetti.
Dall'inizio del contagio, dell'iniziale diffusione delle spore (prima) e del proliferare dell'infezione (poi) erano ormai passati mesi: le forze dell'ordine avevano optato per radere al suole parti intere di città ghettizzando i pochi sopravvissuti, nel vano tentativo di estirpare la malattia, che ormai si era già impossessata di tutti, e non c'era modo di arginarla. "Siamo già morti", continuava a ripetersi la ragazza, "solo che siamo ancora troppo stupidi per non capirlo". Eppure lei era diversa, era sì stata infettata, ma non si era trasformata come gli altri, l'infezione non aveva proliferato all'interno del suo corpo ma era rimasta lì, arginata in quel piccolo lembo di pelle del braccio, una specie di bruciatura, nulla di più. Qualcuno addirittura, tra i superstiti, credeva che lei fosse portatrice sana dell'infezione, una sorta di vaccino che in teoria avrebbe potuto aiutare l'umanità, se solo fosse stato estratto nei modi più opportuni. Di fatto questo era il motivo per cui stava attraversando il nord America con quell'uomo che aveva conosciuto solo poche settimane prima: così ombroso e misterioso, così solitario eppure stranamente legato a lei, lui la stava tenendo stretta a sé come si trattiene una piccola fiamma affinché non si spenga in una notte di tempesta, la considerava, davvero, l'incarnazione della speranza, e un'ancora di salvezza dalla follia e dalla paura, un'isola in mezzo a un mare di orrore.
Aveva cominciato a fidarsi di quell'uomo, si affezionava a lui ogni giorno di più, era quasi il padre che lei aveva perduto (e con ogni probabilità anche lui vedeva in lei la figlia morta ormai da diverso tempo).
Le stagioni passavano seguendo il loro corso, e al bel sole d'estate sembrava non importare nulla che sotto di lui la gente si scannava e si strappava la vita a vicenda... E il cinguettio degli uccelli non si interrompeva quando ad esso si sovrapponevano le urla di qualcuno che stava morendo o le grida lancinanti di qualche infetto. I due camminavano attraverso scheletri di città un tempo ricche e vive, si muovevano come spettri che non riconoscono più le loro dimore, e gli incontri che facevano con persone non ostili, superstiti come loro, finivano sempre con lo strappargli un pezzo in più di cuore e di anima: non facevano in tempo a conoscere qualcuno che questi o li tradiva, o si separava da loro per seguire altre strade, o semplicemente moriva. Insomma, si sentivano un po' gli ultimi rimasti, ma non perdevano la speranza ed andavano avanti.
Poi un giorno successe qualcosa di brutto, successe che l'uomo dovette scegliere se sacrificare la ragazza nel nome di una (possibile?) salvezza dell'umanità, o sacrificare l'umanità nel nome del profondo attaccamento che provava verso la ragazza, ormai divenuta sua figlia. E' vero, anche l'uomo pensava che in fondo erano tutti già morti, ma in quel momento pensò che in fondo non gliene sarebbe poi importato molto se l'umanità continuava a tagliarsi le gambe e si squartava con le proprie mani: lui la sua felicità l'aveva ritrovata, e probabilmente anche la ragazza provava lo stesso, erano di fatto un po' meno morti degli altri, e ciò bastava per (soprav)vivere un po' meglio.
Strana creatura questi Thränenkind. Tedeschi, tra le loro fila militano persone che compaiono anche in band come Heretoir, Agrypnie e Bonjour Tristesse (e chi conosce questi gruppi sa che il loro genere fa capo al post black metal tanto in auge ultimamente). Eppure i Nostri non si limitano a svolgere il compitino mettendo sul piatto solo una riproposizione dei gruppi citati, ma aggiungono elementi provenienti ora dal depressive (rock e metal), ora dal (post)hardcore e dal post rock, creando un'interessante soluzione musicale che, se al primo colpo riesce a fare buona impressione sull'ascoltatore c'è il "rischio" che cresca di gradimento sempre più, con il passare degli ascolti.
"The Elk" è un disco appassionante, emotivamente molto intenso, non annichilente ma, all'opposto, a tratti quasi carico di speranza, nel quale si tratteggia in bianco e nero la storia di un viaggio di due fratelli che devono prendere parte al funerale del loro padre, un viaggio che sembra essere quasi più mentale che fisico, una sorta di climax che sembra condurli dalla sofferenza e disperazione che permeano le prime parti del lavoro ad un senso di libertà e di sollievo. Da molte parti si critica l'uso delle voci nell'album, molti ritengono che la prova vocale fornita dal cantante non sia adatta alle canzoni, ma vorrei spezzare una lancia in suo favore. Il cantato è uno scream che si muove bene sia nelle parti più black che in quelle più "melodiche", derivanti direttamente dal post rock o dal post hardcore, magari non raggiunge vette di espressività e dinamismo, ma svolge il suo lavoro in maniera impeccabile, facendo da ponte tra parti dove riecheggiano ora i Katatonia degli ultimi anni Novanta/primi Duemila, ora band come Lantlos e Amesoeurs, ora gruppi come Fall Of Efrafa o The Elijah, infine addirittura gli Explosions in The Sky ed il post rock più intimo e acustico.
E' molto difficile insomma capire dove inserire i Thränenkind, non è molto immediato pensare ad un gruppo che unisca influenze provenienti dalle band sopra citate, ma alla luce di questa curiosa ed intrigante proposta mi sento di consigliare senza mezze misure questo disco, ritenendolo meritevole di molte più attenzioni di quante in realtà stia ricevendo.

This Story Of Permanence

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http://www.debaser.it/recensionidb/ID_39889/Thr_c3_a4nenkind_The_Elk.htm

lunedì 9 settembre 2013

Eterno annientamento



Per una volta non sono in grado di tradurre a parole le immagini che si affacciano nella mia mente ascoltando questo disco. E' come se la fitta nebbia della copertina mi entrasse negli occhi, come se trapassasse ogni fibra dei miei vestiti rendendoli pesanti e umidi, come se, attraverso le cuffie, traspirasse nel mio cervello e gli impedisse di ragionare. Questo disco ti mette in ginocchio, ti annienta, ti soffoca, ti imprigiona e ti ammalia, e non ce la fai a sottrarti, visto che ti ritrovi a premere ripetutamente il tasto "play" ogni volta che termini un ascolto, solo per il gusto di tornare ad essere annientato.
La musica qui è scarnificata, persa in un coacervo dove convivono black metal, noise, ambient, post rock e drone, che si muovono mangiandosi e mordendosi l'un l'altro, confluendo l'uno nell'altro in maniera ininterrotta, con la melodia che soccombe al rumore, che riprende forza per pochi attimi per poi essere nuovamente spazzata via da grida lancinanti.
La cosa bella di questo disco è che non te lo spieghi, non sai mai come potrebbe essere il minuto successivo, ti fa smarrire, al punto che arrivi ad un punto di una canzone, totalmente straniato, riesci per un attimo a tirare fuori il capo dalla nebbia che respiri per chiederti come diavolo hai fatto ad arrivare sin lì, cosa c'è stato prima, cosa diavolo hai ascoltato un secondo prima... Ma il tempo di finire questo pensiero che già la nebbia ti ha riassorbito, e sei di nuovo da capo. Come quel carrello della spesa in copertina, perso in un parcheggio di cemento, ti senti abbandonato, parcheggiato nel nulla: ci sono sagome in lontananza, forse lampioni, ma la loro luce è così fioca che è come se non ci fosse, e in lontananza senti solo vento e uno sferraglìo lugubre, il pianto di corde di chitarre straziate al triste passo di un pianoforte appena toccato. L'apice dello straniamento lo raggiungi però, come è giusto che sia per ogni viaggio che si rispetti, intorno alla fine del disco, quando dalla nebbia riemergono addirittura echi floydiani (sarò folle ma in "Obsolete Elegies" ci sento un po' "Absolutely Curtains", un po' la sacralità di "A Saucerful Of Secrets", e chissà che altro), e la melodia cresce in tutta la sua potenza, salvo poi perdersi in un nulla che ti da, ovviamente quando non te lo aspetti, il colpo di grazia, una deflagrazione black guidata da una chitarra drammatica ed epica, di un'intensità incredibile, che tanto mi ricorda altissimi momenti toccati da band come Agalloch o Austere (i primi che mi sono balzati in testa). Eppoi tutto collassa su se stesso e si chiude, stavolta definitivamente: un enorme drappo nero cala sui nostri occhi, e si è quasi costretti, come detto qualche riga più sopra, a premere nuovamente "play", per cercare di capirci qualcosa in più.
"Return to Annihilation" non si spiega, va ascoltato e basta: i Locrian hanno creato un incubo metropolitano in grado di rigenerarsi ogni qualvolta ascolti il disco, un lavoro intensissimo e pieno di atmosfera, trasversale nel genere di riferimento ma univoco nelle sensazioni che sa trasmettere, un disco di "extreme" qualcosa che non deve passare assolutamente in sordina.

Return to Annihilation

http://www.debaser.it/recensionidb/ID_39831/Locrian_Return_To_Annihilation.htm

venerdì 6 settembre 2013

Luce nel nelle vene e sangue nel sole



Collage di foto.
Esci dalla grande città, e man mano che percorri la strada ti accorgi di quanto questa stia diventando sempre più larga, e di quanto spazio ci sia intorno a te: boschi, foreste, qualche lago, montagne. Ti accorgi di esserti già inoltrato a sufficienza “into the wilderness” dalla quantità di auto che incroci: sempre più rare, sempre più pickup, jeep o veicoli spartani.
Le comunità che incroci sono molto simili a quelle che hai visto nei film: piccole, chiuse, fatte di persone forse un po’ rudi, magari un po’ sempliciotte, ma di certo dal buon cuore.
L’acqua che sgorga fresca, pura, libera e a disposizione di tutti, da una piccola fonte vicino al lago: fa una strana sensazione toccare quell’acqua fredda quando fuori fa così caldo, sembra raccontarti dei suoi viaggi sotto terra, dei posti che ha visto e delle montagne dalle quali è nata, e già questo ti mette un po’ più in comunione con questo posto.
Il lago, enorme, un mare se paragonato ai nostri laghi, e non è nemmeno tra quelli di medie dimensioni di tutto lo stato! Eppoi in lontananza il cottage, arroccato su uno zoccolo di roccia millenaria, inghiottito dalla foresta, che ti da il benvenuto con il suo piccolo attracco in legno.
Nuotare nel lago fa un certo effetto, ti rigenera, ti purifica quasi, rimarresti per ore a fissare quell’acqua dai riverberi dorati, che al tramonto scintilla come se kili e kili d’oro vi fossero stati sbriciolati dentro.
Lo stranissimo richiamo del “loon”, che alle volte, nel cuore della notte, può farti trasalire, ricordandoti ora l’urlo di un pazzo (appunto), ora un pianto… Richiamo che peraltro ti ricordi di aver già sentito come effetto aggiunto a qualche pezzo di qualche disco che hai ascoltato in passato.
I piccoli oggetti che ti colpiscono, insignificanti per molti, per te note caratteristiche e che costituiscono la magia del posto: un piccolo braciere di forma circolare con delle alci intagliate sopra, un’ancora arrugginita, una corda da barca arrotolata attorno a un palo, dei centesimi piantati sugli scalini in cemento che portano al cottage, come portafortuna… Eppoi gli alberi, la foresta, la vegetazione, così imponente, verde, protettiva, che ti sovrasta e che ti incute un certo timore reverenziale.
Il tramonto e la notte, quando il lago rischiara il buio della foresta riflettendo una luna grossissima, perfettamente circolare, con una luce che mi ricorda tanto un notturno di Munch.
Il temporale che ti sorprende la notte: in mezzo al bosco, chiuso dentro il cottage, che sembra lì lì per essere spazzato via da un momento all’altro, con quella pioggia fortissima e quei lampi che si scaricano nello specchio d’acqua (non neghi di aver avuto anche paura alle volte).
La mattina, con il fresco notturno che ancora non ha ceduto il passo al caldo estivo, leggersi un libro sullo sciamanesimo ascoltando la propria musica seduti di fronte al lago: raramente ho provato sensazioni di pace così intense ed appaganti.
Il fermarsi con la barca in mezzo al lago per rintracciare una cascata da visitare in mezzo al bosco: dato che è nascosta dalla foresta devi solo stare zitto ed ascoltare, sentire da dove proviene lo scroscio dell’acqua. Della serie, usiamo tutti i sensi visto che ce li abbiamo.
Purtroppo è durato tutto fin troppo poco, ma nelle immagini, nella musica, nei sensi, il Canada è sempre lì, ben impresso nei miei occhi e sulla mia pelle.
I Lux Interna sono una band di San Francisco facente parte del rooster della Pesanta Urfolk: chi già conosce questa etichetta può forse immaginarsi già le connotazioni geografiche ed artistiche seguite dal combo. I nostri suonano quello che a tutti gli effetti potrebbe essere incasellato nel Neofolk di matrice USA (c’è chi lo chiama Folk Apocalittico, ma non so, sinceramente non conosco la differenza tra i due generi). Nel loro ultimo “There is Light in the Body, There is Blood in the Sun” I nostril uniscono alla classica strumentazione acustica anche partiture elettriche, un po’ di effettistica qua e là e inserti suonati da strumenti “tipici” della cultura delle First Nations (i nativi americani, pare che ora la terminologia giusta sia questa). I loro pezzi hanno un ché di rituale, di purificatorio, sebbene siano venati da una certa oscurità di fondo che è rintracciabile, se spogliati dal black metal, anche in band come Alda, Wolves in The Throne Room e simili (quindi comunque gruppi “cascadiani”, della zona del Pacific North West). Da un punto di vista delle sensazioni comunicate i Nostri puntano a coinvolgere l’ascoltatore facendo leva non tanto sull’aggressività ma sulla ritualità, sulla ripetizione continua di strutture e voci, portando a casa un risultato molto simile a quello ottenuto dalle band sopra citate, e appagando l’ascoltatore donandogli un senso di pace e di unione con la natura. Molto del merito va alla sezione ritmica e alla voce del cantante, che molto mi ha ricordato il Lanegan di “Bubblegum”, il Cave delle “Murder Ballads” e, a sprazzi, anche il Lou Reed di “Venus in Furs”.
Se siete amanti del black metal “cascadiano” e ricercate le stesse sensazioni sotto un’altra veste i Lux Interna sono senza dubbio una scelta validissima da tenere in gran considerazione.

Tongues

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giovedì 8 agosto 2013

Sisifo

Eppoi boh, ti sposi.
Come Sisifo ti trovi con un sasso gigantesco da spingere su per un monte, solo che a differenza sua quando sei in cima il masso non torna indietro ma, con un soffio, rotola giù dall'altro lato come una bellezza, con una leggiadria, armonia e velocità che, dato quanto ci hai messo a farlo arrivare lassù un cima, non gli avresti mai attribuito.
Cominci la mattina (dopo una notte mezza insonne per via del tuo vecchio letto, a casa dei tuoi, sul quale non dormivi da cinque anni e al quale non eri più abituato) lavando la macchina e pulendola ben bene, poi doccia e via in città per un "brunch" (chiamiamolo così via) con dei buoni amici, una "colazione" alle 11:00 a base di frittate, affettati vari, sott'oli, vino rosso, seguita da un bell'ammazzacaffè (rigorosamente senza caffè), il tutto fatto per darti una bella carica... Al punto che quando torni a casa ti butti sul letto e dormi!
Poi inizia a venirti a trovare un po' di gente, aumenta l'ansia, inizi a vestirti (e a sudare, con tutti quegli strati di roba addosso) e finalmente sali in macchina e parti, direzione chiesa. Nelle casse un po' di black metal: mamma, nonna, sopportatemi via, è la mia festa. Arrivato alla chiesa millemila persone ti salutano, qualcuno già commosso, qualcuno ancora ammaccato per il brunch mattutino, ma in generale sei felice di averli lì. Eppoi, entri in chiesa. E aspetti. E aspetti. Minuti che paiono ore, con questa sposa che non arriva. Che poi, mica ha fatto tanto ritardo, solo venti minuti, ma in quel momento vorresti solo che arrivasse e magari che tutto finisse veloce: perché ancora non ci sei dentro alla festa, non te la stai godendo.
Poi arriva, tesa come una corda di violino ma visibilmente emozionata, accompagnata da suo babbo che è colto da una risarella che in otto anni non gli avevo mai visto. Ho soltanto vaghi ricordi di quel momento: il suo fantastico vestito (corto!), i fiori in testa (niente velo quindi, proprio come volevo io), il ciuffo sull'occhio, gli occhi lucidi, le lentiggini, il bacio sulla fronte... Eppoi si comincia con la messa.



Via via che passano i minuti la tensione si scioglie, poi mi ci metto anche io a sdrammatizzare senza volerlo, incartandomi in più di una circostanza sfiorando paradossalmente la bestemmia, per cui davvero, nemmeno ti ricordi di aver desiderato che tutto finisse in fretta.



Poi la fuga in macchina per le foto da soli, l'arrivo al ristorante, le chiacchiere passando di tavolo in tavolo, l'ottima cena, le strullate post cena, quando siamo rimasti in pochi, solo con gli amici più intimi... Avrei preferito che ci fosse stata più gente alla fine, ma va bene così, chi contava c'era. E anche chi non c'era, e non aveva potuto esserci, era come se ci fosse stato.
Mi chiedono che si prova a essere sposati. Boh! Credo niente di diverso da quello che provavo prima, "un anello in più" dico io, ma questo perché convivevamo già da qualche anno... Eppure qualcosa c'è, che non si dice alla gente magari perché ci si vergogna: la cosa ci ha unito. Ma non nel senso di contratto di fronte a un qualche dio o alla legge, ma nel senso di primo grosso sforzo che facciamo assieme, unendo le forze per raggiungere uno scopo, e in questo senso forse sta la vera unione.
Due giorni dopo, viaggio di nozze. Parti per un posto che da tempo stava nella tua personale top three, da qualche settimana ormai non vedevi l'ora di essere lì in Canada, in mezzo ai boschi, e per fortuna il filmino che ti eri fatto si è tramutato in realtà. A mattina presto nel cottage, quando tutti dormono, in mezzo al nulla con solo il lago davanti, cuffie negli orecchi e la tua musica come colonna sonora perfetta per quel momento, e una macchina fotografica che ti accompagna in brevi escursioni alla ricerca di piccoli dettagli da immortalare, animato da un intenso panismo che non aspettava altro per uscire.










Siamo stati bene lì in Canada, tra boschi e città, tra inglesi e francesi, sempre in bilico tra una cosa e l'altra, eravamo comunque insieme, e quindi a casa, e questo ci (mi) bastava.
Al rientro dal viaggio mi sono subito detto: "ora mi metto al pc e scrivo un bel post su questo matrimonio e su questo viaggio, lo ripieno di foto e musica, sarà una cosa lunghissima!"... Eppoi a conti fatti ecco cosa ho scritto, e non so se essere deluso o meno: insomma, mi ero immaginato un panegirico senza fine e quello che ne è venuto fuori è semplicemente un flusso di pensieri sconclusionati. Ma poi mi fermo un attimo e mi rendo conto che è impossibile stare a scrivere quanto accaduto in questi giorni, c'è troppa vita dentro, troppa emozione, e non sono in grado di tradurre il tutto in parole.
Non dirò mai "sono felice", ma di certo posso affermare, adesso, che sto bene, e detto da me non è poco. E questo sbrilluccicare della fede quando batto le dita sulla tastiera mi piace davvero molto, lo ammetto, mi ricorda degli occhi lucidi che ho visto quasi un mesetto fa, un po' più tardi di quest'ora, in mezzo a sussurri di gente, qualche risata, e odore di frutta fresca misto a un bel freschetto che solo una cripta vecchia vecchia sa dare.



In the Wake of an Iron Wind
Yearn
Republic of Heaven
Soaring Into Earth
Panorama of Mirrors
Ancient Ones
A Night that Ends, as all Night End, when the Sun Rises
Reaffirmation
Carved in Stone

domenica 23 giugno 2013

Serata di pensieri

NB: questa foto è stata "rubata" a un caro amico, spero non se n'abbia a male

Stasera mi sono messo a pensare a tante cose: è normale, non sono molti giorni che sono solo dato che la mia ragazza è fuori per lavoro, ma questi pochi giorni sono bastati per far tornare il vecchio "me", che mi ha fatto tanta compagnia in passato e che non manca di venirmi a trovare quando, appunto, sono solo.
Ho pensato tanto dicevo, e ho pensato che:
-il mio matrimonio sarà uno spettacolo, se non altro perché è mio e mio soltanto (o nostro, nostro soltanto, ma il risultato è lo stesso);
-Ginny è un cane intelligente fuor di misura, sa che deve fare il bisognino prima di andare a letto, e se se ne dimentica basta dirglielo e lei lo fa, perché come le mamme insegnano ai bambini "due goccioline di pipì prima di dormire vanno fatte";
-"The Mantle" degli Agalloch è uno dei migliori dischi che abbia mai ascoltato;
-"In The Shadow Of Our Pale Companion" degli Agalloch è una tra le più belle canzoni mai scritte;
-Ho un monte di lavoro da fare da qui al matrimonio, so che verrò subissato da stress e compiti di vario tipo, ma sti cazzi, mi sono fatto un "piano di azione" che partirà domani, vediamo se funziona;
-amo la mia ragazza, ma odio i suoi cavolo di vestitini con le pieghine che ti mandano al manicomio quando li stiri;
-adoro la mia città, Siena, soprattutto la domenica sera d'estate, ancora non sotto Palio, quando tanta gente è ancora a cena, le finestre sono aperte e senti le loro chiacchiere, mentre fuori un leggero venticello rende il caldo sopportabile, e le strade sono quasi deserte nella mia Contrada (cosa che mi permette di godermela al meglio, cioè senza gente, per lo meno quella che non sopporto);
-non vedo l'ora di essere in Canada;
-prima o poi mi costruirò un altare pagano tipo questo;
-se quanto ho studiato per organizzare la mia vita e i miei impegni di qui al matrimonio va in porto sono un grande;
-è bello fare regali, non c'è dubbio, ma se una donna te li fa, se quella donna è la tua ragazza/moglie, e magari non te l'aspetti, cavolo se ti sorprende, cavolo se non sono belli... Rimani come Holden quando una ragazza gli sorrideva o faceva qualcosa di carino per lui, te ne innamori;
-ancora non ho ben capito se sono una buona persona o no, ma fanculo, io credo di sì dai;
-il Cascadian Black Metal è il MIO genere musicale preferito, non ci sono cazzi;
-la Scozia è il mio luogo preferito, e amo alla follia Edimburgo, e spero di poterci tornare entro la fine del 2013;
-mi piacerebbe anche tornare in Spagna però, perché a ben pensarci a Madrid ci sono stato bene, sebbene non mi ricordi nemmeno un monumento, piazza o luogo particolare... Eppure mi è rimasta addosso come un profumo. Come Bergen. No via, Bergen è altra roba, dopo Edimburgo è lì che vorrei andare a vivere;
-che quando sei preoccupato e nel panico siediti e butta giù cosa ti preoccupa, poi alzati e guarda il foglio dall'alto: cazzo se funziona!
-mi manca mio nonno, e mi sarebbe piaciuto conoscere lo zio scozzese della mia ragazza;
-c'è un unico modo degno di salutare le persone che ci lasciano, e secondo me è quello mostrato alla fine di "Svegliati Ned"... Sláinte!

...ho già detto che "In The Shadow Of Our Pale Companion" degli Agalloch è una tra le più belle canzoni mai scritte?


giovedì 20 giugno 2013

Programma di vita

 
 
"Io so che non è facile
riuscire a proiettarsi nel futuro
immaginando come sarà
la vita andando avanti;
le scelte che farò
saranno sempre più importanti
dei dubbi che ho
che oggi sono ancora tanti.
 
E' necessario che io sia coerente con me stesso
per dare il peso giusto e un senso a tutto il resto
ed è importante che non faccia cose in cui non credo
per non confondermi e dover tornare indietro...
è necessario, è necessario...
 
Oggi è un nuovo giorno
e se vorrò potrò passarlo meglio,
guardando verso il sole
cercando il tuo sorriso al mio risveglio;
non so cosa farò
non mi farò troppe domande,
so solo che vivrò
e questo forse è più importante... "
 
 

mercoledì 19 giugno 2013

Old man and his dog


C’avrò perso dieci minuti ieri a guardarli, ho fatto quasi tardi a lavoro, ma non potevo non osservarli.
Un signore anziano, sull’ottantina, pelle abbronzatissima, cannottieraccia bianca, cappellino del Consorzio Agrario, jeans scoloriti abbottonati molto alti, cammina per la via che porta al mio ufficio. Zoppica un po’, per questo si aiuta con un bastone, che lo sorregge dal lato destro. Nella mano sinistra tiene al guinzaglio un cagnolino di stazza simile al mio (quindi piccola taglia), un meticcio baffuto e vispo color grigio-marrone. Il signore avanza, pian piano: fa qualche passo… poi si ferma… poi riparte… poi si ferma a leggere i necrologi… poi riparte in direzione dell’edicola, e così via. Il cagnolino, in perfetta simbiosi con il padrone, cammina quando lui cammina, si blocca quando lui si ferma, e ogni volta che vede il padrone ripartire lo guarda un attimo e via, coda dritta sempre al suo fianco.
Mai uno strattone al guinzaglio, mai il muso in terra a cercare chissà cosa, mai un segno di protesta, solo fedeltà, pace e tranquillità.
Una scena del genere mi ha quasi commosso: forse perché anche io padrone di un cane, forse perché l’abbinamento anziano-cagnolino mi smuove sempre, forse per il film che mi sono fatto nella testa (il cagnolino è stato regalato qualche anno fa al signore dai suoi figli per tenergli compagnia, magari in seguito alla perdita della moglie, e adesso i due sono invecchiati insieme), fatto sta che, come detto, sono quasi arrivato tardi a lavoro ma non potevo non riflettere un po’ su questa scena.
Riflettere su cosa?
Boh, la fedeltà, tra uomo e cane, del cane verso l’uomo, tra uomo e uomo;
i taciti rapporti che si instaurano tra uomini e animali;
il rapporto che i cani hanno con gli uomini e viceversa;
quanto sia vincolante, in senso positivo ed affettivo, legarsi ad un cane, al quale spesso si affida il proprio cuore, le proprie paure e le proprie ansie, e lui assorbe tutto, e come una pianta sintetizza, rielabora e riconsegna tranquillità e, semplicemente, presenza;
…e tante altre riflessioni che ora non mi tornano in mente, ma che mi hanno investito in quei minuti come una folata di vento caldo.
Ecco, chiedo scusa per lo sfogo, ma bisognava che mi segnassi questo momento per non perderlo tra le tante cose che affollano la mia mente in questi giorni.
A Dog's Story

venerdì 14 giugno 2013

Il piccione



C’è un piccione in giardino, lo vedo dalla finestra, mentre prendo il caffè in attesa di ricominciare a lavorare. Sono abbastanza agitato, non nervoso, almeno non tanto da rispondere male alla gente, ma sento una sorta di urgenza addosso, una voglia di uscire, di mandare a quel paese la gente, di dire “arrangiatevi”, “cavatevela da voi”, “mi vedi ma è come se non ci fossi”, ma non posso. La vita, si sa, è fatta di impegni, di gente che ti cerca per chiederti i favori, di rospi ingoiati e di cose fatte per forza, perché senti che vanno fatte e che altrimenti nessuno le farebbe, e il giocattolino si romperebbe. La senti spingere l’urgenza, ribolle dentro di te e a fatica la trattieni, senti che ti stanno prendendo in giro, ti stanno manovrando, stanno abusando del tuo buon cuore, si stanno approfittando di te, e l’unica risposta che sai darti, come il bambino occhialuto malmenato dal bulletto a scuola che è convinto che, da grande, gliela farà pagare, l’unica risposta dicevo è “sì sì approfittatene ora, perché alla prima occasione buona vedete cosa faccio io…”. Parole al vento, buttate lì in un momento dove stanchezza, stress, tensione, fatica e tanta, ma tanta voglia di NON fare, si accumulano dentro di te.
C’è un piccione dicevo, mi metto autisticamente a guardarlo mentre giro, lentamente, la paletta nel caffè. Fuori si sta bene: dopo tanta pioggia al 12 giugno finalmente si è decisa ad arrivare questa cavolo d’estate… Mi mancava, mi fa quasi senso dirlo, visto quanto amo il freddo e quanto ripugno le temperature sopra i 15°: mi mancava perché era contro natura questo freddo, perché per come sono schematico io avevo già messo in conto le prime sudate, e il fatto che non arrivavano, il fatto che dovevo addirittura stare ancora a maniche lunghe, il mal di gola addirittura, tutto questo mica mi tornava tanto.
Il piccione se ne sta tranquillo tranquillo nel cortile interno: pesticcia sull’erba, bruca ogni tanto qualcosa, metodicamente si sta girando tutta la superficie erbosa disponibile, con calma, senza stress. In effetti ha poco di che spaventarsi: c’è un silenzio pressoché totale in cortile, e le cinque palme che svettano ai vertici ed al centro di esso ogni tanto sono mosse dal vento, e le loro fronde si agitano leggermente producendo un suono simile a quello delle onde del mare. Un suono calmo, piacevole, rilassante. Chiudo un attimo gli occhi, con il viso rivolto verso il sole, quasi chiamato a condividere con il piccione la pace che sta vivendo in quel momento. Quando li riapro sento di nuovo quella cavolo di nostalgia crescere dentro di me: da tanto mi accompagna questa strana sensazione, ogni tanto si riaffaccia la mancanza di qualcosa, sia essa una persona, un cane, un gatto, un momento… Questo giochino alle volte mi ha anche portato alle lacrime, è un momento in cui mi sento davvero solo e senza appigli particolari, un momento in cui mi tornano alla mente età dell’oro ormai passate e figure magari neanche lontane nello spazio o nel tempo, ma solo impossibili da avere lì in quel momento preciso. In questo momento sento la mancanza di Follonica e dei miei amici, di Rimini e del primo pomeriggio passato all’ombra sullo sdraio a bordo piscina, con in mano il libro da leggere come compito assegnato dalla professoressa di italiano e nelle orecchie un po’ di musica. Sento la mancanza della mia ragazza e del mio cane, e di quando tutti insieme siamo andati al mare, sento la mancanza delle giornate passate in piscina con gli amici e il bisogno del semplice non fare nulla, e ho sonno, sono stanco, e vorrei solo sdraiarmi in quell’erba vicino al piccione, sotto le palme.
Quando mi trovo a fare cose che non mi piacciono o che mi vengono imposte solo perché qualcun altro non le può/vuole fare reagisco un po’ come un bambino: metto il broncio e mi intristisco. In questo momento sono un po’ così, a metà tra il triste, l’assonnato e lo stanco, e sinceramente non vedo l’ora che questa giornata finisca e che, in generale, arrivi un po’ di tranquillità. Non sto male intendiamoci, anzi si sta avvicinando uno dei momenti più felici della mia vita, solo che quando mollo un po’ la presa e rilascio la tensione la stanchezza prende il sopravvento e la nostalgia si riaffaccia, ed è sempre un po’ difficile ripartire poi… Anche se oggi il piccione mi ha un po’ aiutato.

Temporary Peace

martedì 21 maggio 2013

Bachelor party


Addio al celibato “privato” (che si differenzia dal probabile addio al celibato “pubblico” che potrebbero organizzarmi i miei amici per il fatto che ero in compagnia di me stesso), destinazione: Romagnano Sesia, ameno paesello sulle sponde di un fiume nell’alto Piemonte, per godermi il concerto del (forse) mio gruppo preferito, gli americani Agalloch.
Con le minacce di un nubifragio in atto tra Liguria e Piemonte salgo in macchina quando a Siena stava sbucando un timido sole autunnale (siamo a maggio ma sembra a tutti gli effetti settembre). Partono i Massive Attack, “100th Window”: bel disco certo, ma sento subito che non è quello giusto… E nemmeno tutti i miei vari dischi black mi sembravano adatti, per questo lungo viaggio (quasi cinque ore, passando per Genova eppoi su fino in Piemonte) ci voleva qualcosa che mi permettesse di guardarmi un po’ dentro e contemporaneamente alle spalle, visto che doveva essere una sorta di tappa intermedia in direzione del fatidico 13/07. E così prendo la penna USB e metto su la mia compilation di pezzi anni Novanta, e si parte.
Chi mi conosce sa bene quanto possa essere sentimentale e nostalgico, e quanto visceralmente sia attaccato, da un punto di vista musicale, a quella decade, nella quale ho scoperto la musica, ho iniziato ad apprezzare i video musicali ed i CD, e della quale non posso che avere dolci ricordi. Il bello di questi pezzi è che li ho selezionati in base ai video: ho ben impresse nella mente le mattine passate a fare colazione guardando MTV prima di andare a scuola, o i pomeriggi, mentre facevo i compiti, sempre accompagnato da quelle immagini e da quei suoni che, a posteriori e confrontandoli con la spazzatura che circola per radio e tv oggi, erano davvero oro.
Eppoi,km dopo km, inizio a cantare, sempre più forte… Roba mai fatta, io che odio la mia voce e che mi ritengo stonato ai massimi livelli! Si vede che lo specchio musicale stava realmente iniziando a riflettere il mio io, che veniva fuori con un suono magari sgraziato, ma di certo carico di passioni, ricordi, e con un sorriso stampato sulle labbra.
All’altezza di Genova, tra una galleria e uno scorcio sul mare impensabilmente illuminato dal sole, nonostante le previsioni, il crollo. “Will you stay with me, will you be my love, Among the fields of barley? We'll forget the sun in his jealous sky, as we lie in fields of gold” dice Sting, e istintivamente guardo verso il sole e le montagne, e sento gli occhi gonfiarsi di lacrime… Il bello è che non so dire a cosa stavo pensando, a tutto e niente di fatto, ma una serie di immagini, di flash su presente, passate e future hanno creato un’alchimia con il pezzo devastante.  Che su un lentone come quello ci può anche stare, ma non so “Everlong”… Questo pezzo ha qualcosa di speciale, con tutto che non ho mai realmente considerato i Foo Fighters band da “disco” ma da “singolo” (quindi quasi di serie B nella mia spocchiosa percezione) questa canzone mi ha sempre dato i brividi per come sa essere cupa, disperata, rabbiosa ma insieme dolce, tenera e protettiva. Anche qui stesso discorso, immagini miste, spezzoni di video misti a vita reale, e giù lacrime.
Passata questa parentesi ligure in Piemonte il tenore è stato diverso, più proiettato verso il futuro, quindi sempre cantando come uno scemo, sempre ridendo e parlando da solo, ma niente lacrime. E magia delle magie, la fine dell’ultimo pezzo è coincisa con il mio arrivo a destinazione: sullo note di “Your Woman” dei White Town ho spento il motore e sono sceso di macchina.
Il concerto da solo è stata un’altra esperienza per me strana: non mi era mai successo di essere solo in un’occasione del genere, ma sempre restando sul tema della giornata volevo vedere come stava il mio io in mia compagnia, soli (in mezzo a altri, ovvio) in una bella serata di musica live. E così è stato: ingresso nel  locale in piena tranquillità, atmosfera rilassata, eppoi, luci spente e totale immersione nella musica.
I Fen li conoscevo, ma non mi aspettavo una prova così muscolare da vivo, mi sono davvero piaciuti… Gli Agalloch beh, nemmeno ce le spreco delle parole… Mancano forse di ritualità, e sebbene ci stiano lavorando su non sono ancora sul piano di gruppi come i Wolves In The Throne Room, ma questo solo se vogliamo davvero cercare il pelo nell’uovo… Poi, quando ti chiudono il concerto con un pezzo come questo c’è poco da fare, emotività a palate!
Il giorno successivo, con le orecchie che ancora erano riempite da quel “fiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii” fastidiosissimo, risultato di un'esposizione prolungata a suoni un po' altucci, faccio colazione e riparto alla volta di Siena. Stesso tragitto dell’andata, stavolta sotto una pioggia abbastanza insistente al confine tra Piemonte e Liguria, stessa colonna sonora dell’andata, ma un posto vuoto accanto: il mio io non c’era più, o meglio, non era più percepibile come all’andata, ma non l’ho presa male. Di fatto ci eravamo detti già tutto, non c’era bisogno di sprecare altre parole… Ho pensato solo a una frase di Scrubs, che non ricordo nitidamente, ma che diceva che le migliori chiacchierate sono i silenzi complici e tranquilli che vivi con certe persone, che quando se ne vanno sembra di averci fatto la migliore conversazione della tua vita. Per alcuni amici, ottimi amici, e per certe persone, ciò è vero, ma non sapevo si potesse dire anche di me stesso.
In fondo questo viaggio mi è servito a una cosa: ho capito che, tutto sommato, in mia compagnia mi trovo bene, è che non sono poi così malvagio come persona… Almeno quando sto in silenzio!

Woodsmoke


 
Questa musica odora di legno bruciato e di falò, ha il suono delle foglie che scricchiolano e dei rami secchi che scoppiettano e si rompono al calore della fiamma. Sulla pelle è umida come la nebbia autunnale, come la nebbia è densa e ovattata, sospende il tempo e lo spazio e ti lascia solo pochi sensi a disposizione.
Nei ricordi e nella mente è panteismo ed immersione nella natura, è momentanea pace con il mondo , e si materializza in un sorriso che ha del malinconico.

Once we played in this forest in the shade of the tall trees
at the dawn of this particular time.
But many an aeon has passed since and many a fate has changed.
...And our great woods died. No new seeds have been planted for ages
And those that were have been torn out from the soil.


Last Vestige Of Old Joy

martedì 14 maggio 2013

Ginny e Neve


Stamattina, prima di iniziare a lavorare, ho aperto una pagina web di un sito che visito spesso, e uno sguardo, a me stranamente familiare, ha attratto la mia attenzione: due occhioni chiusi, un musone schiacciato a terra, un’immagine che avevo ben presente, mi ha quasi chiamato a sé.
Via via che discorrevo lo scritto i miei occhi si sono lentamente riempiti di lacrime: non ho pianto solo perché ero a lavoro, ma dentro di me, leggendo quelle righe, una serie di immagini prendevano vita e attraversavano i miei occhi come se le avessi davanti in quel momento. Qualcuno alla fine dell’articolo commentava: “il cane, forse più di tutti gli altri animali domestici, tende ad assorbire molto del padrone, fino ad arrivare quasi ad assomigliargli, a esserne una sorta di estensione. Così poi quando muoiono si prova una sensazione strana. Quando successe a me provai dolore certo, ma non come quello della perdita di un famigliare e nemmeno un amico, era come se non avessi più una mano, un piede, un braccio, qualcosa di simile. Se ne vanno e si portano via per sempre una parte di te, spesso la migliore.”
Questa persona ha tradotto perfettamente ciò che ho sempre creduto anche io: i cani non sono animali domestici, non sono parte della famiglia, ma sono parte di te, sono una proiezione di parte del tuo carattere, vibrano al vibrare della tua anima e rispondono di conseguenza… Si plasmano in relazione al padrone, accogliendone e facendo propri pregi e difetti del carattere: penso alla mia cucciola, che come me è ombrosa, selettiva nelle conoscenze, maniacale nell’ordine delle sue cose e nella casa (mai i giocattolini fuori posto, e non ti azzardare a lasciare qualcosa che non vuole sul tavolo di casa…)… Penso alla mia cucciolona, che non abita con me da ormai qualche anno ma è rimasta a casa dei miei, ma che per me è come una sorellona, una “cavallona” che ho sempre adorato abbracciare, stringere a me, con la quale ho sempre fatto la lotta nel bosco e che, quando ero malato e con la febbre, mi si piazzava (spesso) sopra, con le zampe distese e il muso appoggiato al petto, e lì restava a lungo, alzandosi e allontanandosi solo per qualche minuto. Adesso Neve è anziana, ha 12 anni, nell’animo sarebbe ancora cucciola, ma il fisico, ahimè, sta cedendo. Ogni tanto provo a pensare a cosa succederà quando non ci sarà più, a come se ne andrà, ma la mia mente si blocca, e le lacrime spingono sulle palpebre: non è giusto pensarci adesso.
Ginny, di quasi tre anni, e Neve, così come Charlie e Stella prima di loro, hanno dato e stanno dando tanto alla mia vita, chiedono poco o niente in cambio, solo affetto e carezze: sono fiero dei miei due cani.
Grazie Ginny, grazie Neve, e grazie autore di questo articolo che mi hai fatto pensare a questa cosa.

A Three-Legged Workhorse


giovedì 2 maggio 2013

Ombre



Faceva un bel caldo quella mattina di agosto. Sentivo le cicale cantare in lontananza mentre me ne stavo seduto sugli scaloni della banca, attendendo che aprisse, prima di recarmi a lavoro. C'era una leggera brezza nell'aria, il cielo era parzialmente velato ma non minacciava pioggia... Eppoi un bagliore accecante, un turbine di vento dalla forza indescrivibile, frantumò ogni atomo del mio corpo, e mi sciolse nell'aria: solo la mia ombra testimoniò la mia presenza sul freddo marmo dei gradini di quella banca, che l'esplosione rase totalmente al suolo.



Quella tegola doveva essere sistemata: appena seppi che l'indomani non avrebbe piovuto preparai tutti i miei attrezzi ed andai a dormire. La mattina appoggia la scala al tetto, poi rientrai in casa per prendere il necessario e uscii nuovamente.
Avevo appena messo un piede sulla scala quando vidi con la coda dell'occhio l'ombra che proiettavo in terra espandersi a dismisura: mi voltai verso quello che credevo essere il sole ma sentii la mia retina bruciarsi immediatamente. Non ebbi il tempo di gridare, di me non rimase che il vapore, e un'ombra fusa assieme a quella della scala appoggiata al muro di casa.


Sky burial



Si recò a dormire, come al solito, ma al mattino seguente non riaprì gli occhi. La sua vita era stata lunga, ricca di soddisfazioni, votata alla propria fede e ai propri ideali, non aveva rimorsi e la sera, prima di addormentarsi, aveva provato un senso di pace maggiore del solito. Non che non avesse mai provato una sensazione simile: la sua religione, il suo credo, gli avevano fatto assaggiare, giorno dopo giorno, momenti di estasi, ma stavolta era diverso, sentiva che tutti i pezzi del puzzle che componevano la sua esistenza si erano finalmente composti, aveva visto il quadro finale, e si era addormentato con la pace nel cuore.
L'indomani, dalla cima dei cieli nella quale la sua anima si era recata una volta abbandonato il corpo, poté osservare la scena. Alcuni uomini, suoi amici di vecchia data, si recarono in camera sua, sollevarono le sue membra, le spogliarono e le portarono fuori dall'edificio, intonando una nenia e accompagnando i loro passi da scampanellii ipnotici e cadenzati. Una volta all'esterno ecco arrivare il tomden: dalla bisaccia tirò fuori un enorme coltello, e una volta affilato fece depositare il corpo sulla nuda terra, e, dopo aver alzato gli occhi al cielo e cinto le mani più e più volte, iniziò il suo rituale.
La lama fredda incideva le carni fredde, che a brandelli cadevano sulle fredde rocce: pezzo dopo pezzo il suo corpo venne spogliato un'altra volta, le sue interiora, le sue fibre, i suoi muscoli, tutto venne esposto al gelido vento mattutino. La giornata era splendida: non una nuvola, solo un sole alto e splendente, e da lassù la sua visuale era perfetta. Non aveva un minimo di rimorso nei confronti di ciò che stava accadendo, non provava dolore né sofferenza né orrore: aveva già visto scene simili, vi era abituato, e non lo smuovono.
Una volta terminato il lavoro il tomden si alzò: “Shey, shey” disse, alzando gli occhi al cielo e indirizzandoli verso gli avvoltoi che si erano intanto radunati sopra il corpo, volteggiando lenti richiamati dall'odore della carne e dal fuoco del ginepro, acceso poco prima. Fece qualche passo indietro, alzò entrambe le braccia come per abbracciare i volatili, i quali avevano iniziato la loro discesa verso il cadavere. Quando ormai tutti quanti furono sopra di esso non fu più possibile vedere niente, se non le loro spalle ricurve e i loro becchi che scendevano verso terra, lì rimanevano per qualche secondo, eppoi risalivano, trasportando qualche brandello rossastro. Dopo qualche minuto cominciarono a sciamare, e solo allora fu possibile vedere quanto era rimasto delle sue spoglie: solo le ossa, legnetti bianchi sparsi alla meglio sulla terra spoglia. Il tomden sorrise, alzò di nuovo gli occhi e congiunse le mani in segno di preghiera. Lo stesso fece lui, dalla cima dei cieli: guardò in basso con gratitudine verso quel santone, guardò gli avvoltoi, ormai lontani dalla carcassa, e li ringraziò. “Shey, shey” disse loro.
Poi chiuse gli occhi e si preparò: questa parentesi era durata sin troppo, era ormai tempo di prepararsi a rinascere, era tempo di iniziare nuovamente il grande ciclo della vita.
Gli spagnoli Apocynthion sono l'ennesima scoperta in casa Pest Productions. Possiamo tranquillamente inserire la proposta del quartetto nel tanto bistrattato post black metal, genere che deve la sua notorietà a ensemble come Alcest, Amesoeurs, Austere, Les Discrets, e tanti altri. Nello specifico quanto suonato dai nostri potrebbe essere definito “blackgaze”, uno shoegaze tinto dalle oscure accelerazioni del black e solcato dal gelido scream del cantante, che spesso si avvicenda con un pulito impostato che molto deve alla dark wave. Con “Sidereus Nuncius” i Nostri mirano a descrivere il fragile equilibrio che esiste tra l'uomo e l'universo che abita, tentano di trasportare l'ascoltatore verso mondi lontani, di strapparlo alla propria realtà mettendolo di fronte alla propria piccolezza, e ci riescono splendidamente grazie a sette pezzi di durata medio lunga carichi di pathos, atmosfera, candide digressioni strumentali e sanguigne partiture black.
Se amate i gruppi sopra citati e cercate un disco dalle grandi potenzialità e in grado di stupirvi più volte durante l'ascolto non potete non ascoltare questo lavoro, tra le sorprese di questo 2013.

Redshift

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mercoledì 24 aprile 2013

Gli odori e le musiche che ti rapiscono


Niente gli interessava di quello che gli stava accadendo intorno in quella sera di festa: non i fuochi d’artificio che tanto stupivano i villani, non i tanti odori che la gente, accaldata e addossata alle mura, emetteva inconsciamente ed in maniera per loro invisibile… Profumi questi che aveva già immagazzinato a suo tempo, che riconosceva ormai in maniera automatica e che lasciava passare senza ormai carpirne più l’essenza.
D’improvviso una folata di vento portò con sé qualcosa di nuovo, di inaspettato, che lo scosse da quel suo torpore apatico. La zecca si era ridestata, aveva fiutato un animale avvicinarsi e si stava preparando ad attaccarsi al suo pelo, per poi scavarne la pelle e rubare la sanguigna essenza. Un profumo mai sentito prima, una combinazione delle più rare essenze che aveva assaporato nella sua breve vita, lo trascinò via dall’ombra agganciandolo per le narici e trasportandolo giù per vicoli bui, tra ubriachi, prostitute, sporcizia e miasmi pestilenziali, e lo ritirò su in superficie, verso una strada spaziosa e deserta. Lì riaprì gli occhi, che fino a quel momento erano stati chiusi così da consentire al naso di lavorare al meglio, e vide una fioca luce rischiarare una finestra di una catapecchia affossata tra scuri palazzi. Silenzioso, impercettibile come la natura lo aveva creato, si avvicinò alla finestra, girò intorno all’abitazione, trovò una porta aperta e vi entrò.
Davanti a sé aveva una ragazza, una bellissima creatura poco meno che quindicenne, rossa nei capelli e nelle lentiggini che punteggiavano un viso dal colorito latteo, una povera mercante che stava espletando le sue mansioni giornaliere, la pulitura di alcune mele. Si avvicinò alle spalle della fanciulla, che non lo percepì arrivare: nessuno mai lo sentiva arrivare, non per l’odore, che non aveva, non per il suono dei passi che non emetteva, le persone se lo trovavano d’improvviso accanto e trasalivano, e in generale non si sentivano a suo agio con lui. Era quasi come avere accanto la nera morte, che ti scruta fredda e non proferisce parola.
Era ormai in piedi sopra la ragazza, iniziò ad annusarla, ad inspirare la fragranza fino ad allora sconosciuta, e gli si aprì un monto intero. Quando lui inspirò per l’ennesima volta il suo odore la giovane trasalì, scossa da una folata gelida che l’attraversò dalla testa ai piedi, e si voltò di scatto.
“Quando lo vide ,s’irrigidì a tal punto per lo spavento da dargli tutto il tempo di metterle le mani attorno al collo. Lei non tentò neppure di gridare,restò immobile,non fece un movimento di difesa. Da parte sua lui non la guardò. Non vide il suo bel viso cosparso di lentiggini,la bocca rossa,i grandi occhi verdi brillanti,poiché teneva i propri occhi ben chiusi mentre la strozzava,e la sua sola preoccupazione era quella di non perdere neppure la minima parte dell’odore di lei. Quando l’ebbe uccisa,la depose a terra tra i noccioli delle mirabelle,le strappò il vestito e il flusso di profumo divenne una marea,che lo sommerse con la sua fragranza.
Affondò il viso nella sua pelle e passò le sue narici dilatate dal ventre al petto,al collo al suo viso e tra i capelli e di nuovo sul ventre,poi giù fino al suo sesso,sulle sue cosce,sulle sue gambe bianche,S’imbevve di lei dalla testa ai piedi,raccolse gli ultimi resti del suo odore sul mento,nell’ombelico e tra le pieghe dell’incavo del gomito. Quando l’ebbe annusata fino allo sfinimento,restò accovacciato accanto a lei ancora un momento per riprendersi,perché era stracolmo di lei. Non voleva sprecare nulla del suo odore. Prima doveva bloccare i suoi compartimenti interni. Poi si alzò e spense con un soffio la candela.”
Sapeva di aver commesso un delitto? Forse no, e non gli importava. Per come la concepiva lui la vita era adesso improntata alla ricerca di quella stessa sensazione che aveva vissuto così intensamente, non voleva altro. Per la prima volta aveva uno scopo, e avrebbe (soprav)vissuto i restanti anni della sua esistenza proiettato solo in quella direzione. Come una droga il profumo si era impossessato di lui, e lo avrebbe guidato per sempre.
Come una sciamanica frenesia che scaturisce da una calma meditativa e si riversa in tutta la sua furia sugli adepti al rito, per poi esplodere e svanire nell’aria, la musica contenuta nel debutto dei cascadiani Sadhaka è in grado di impossessarsi dell’ascoltatore semplicemente crescendo dentro di lui. I ritmi sono inizialmente pacati ed ipnotici, le melodie, distintamente percepibili anche nel caos rabbioso ma controllato che agita il cuore delle quattro tracce di questo “Terma”, sono un filo rosso che guida attraverso un lungo viaggio sonoro che si vorrebbe non avesse mai fine. Giunti al termine dell’ultima canzone, assetati e desiderosi di volerne ancora di più, si è infatti quasi costretti a premere nuovamente il tasto “play” e a immergersi nuovamente nelle atmosfere brumose e boschive sapientemente create dal gruppo.
I Sadhaka sono una nuova scoperta della sempre interessantissima etichetta Pest Productions, ma non sono dei novizi in campo musicale: tra di essi figurano anche parte dei Fauna, le cui sonorità magiche e rituali riecheggiano spesso tra i solchi dei pezzi. Possiamo definire “Terma” come un ottimo punto d’incontro tra lo sciamanesimo dei Fauna, la rabbia dei Wolves in the Throne Room che spesso sfocia nella furia cieca degli Addaura, ed il senso della melodia e dell’atmosfera tipico degli Alda o degli Skagos.
In questo 2013 iniziato da non molto sono senza dubbio tra le sorprese più gradite in ambito (Cascadian) Black Metal: un ascolto è più che mai consigliato, e anche se credete di aver raggiunto i picchi del genere in questione con un “Two Hunters”, piuttosto che con un “Ast”, un “:Tahoma” o qualsiasi altro disco delle grandi band che popolano il sottobosco musicale cascadiano (senza andare a scomodare gli Agalloch) dedicate comunque del tempo ai Sadhaka, e rimarrete piacevolmente inebriati dalla loro essenza.

Padmasambhava

http://www.debaser.it/recensionidb/ID_39167/Sadhaka_Terma.htm