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venerdì 6 settembre 2013

Luce nel nelle vene e sangue nel sole



Collage di foto.
Esci dalla grande città, e man mano che percorri la strada ti accorgi di quanto questa stia diventando sempre più larga, e di quanto spazio ci sia intorno a te: boschi, foreste, qualche lago, montagne. Ti accorgi di esserti già inoltrato a sufficienza “into the wilderness” dalla quantità di auto che incroci: sempre più rare, sempre più pickup, jeep o veicoli spartani.
Le comunità che incroci sono molto simili a quelle che hai visto nei film: piccole, chiuse, fatte di persone forse un po’ rudi, magari un po’ sempliciotte, ma di certo dal buon cuore.
L’acqua che sgorga fresca, pura, libera e a disposizione di tutti, da una piccola fonte vicino al lago: fa una strana sensazione toccare quell’acqua fredda quando fuori fa così caldo, sembra raccontarti dei suoi viaggi sotto terra, dei posti che ha visto e delle montagne dalle quali è nata, e già questo ti mette un po’ più in comunione con questo posto.
Il lago, enorme, un mare se paragonato ai nostri laghi, e non è nemmeno tra quelli di medie dimensioni di tutto lo stato! Eppoi in lontananza il cottage, arroccato su uno zoccolo di roccia millenaria, inghiottito dalla foresta, che ti da il benvenuto con il suo piccolo attracco in legno.
Nuotare nel lago fa un certo effetto, ti rigenera, ti purifica quasi, rimarresti per ore a fissare quell’acqua dai riverberi dorati, che al tramonto scintilla come se kili e kili d’oro vi fossero stati sbriciolati dentro.
Lo stranissimo richiamo del “loon”, che alle volte, nel cuore della notte, può farti trasalire, ricordandoti ora l’urlo di un pazzo (appunto), ora un pianto… Richiamo che peraltro ti ricordi di aver già sentito come effetto aggiunto a qualche pezzo di qualche disco che hai ascoltato in passato.
I piccoli oggetti che ti colpiscono, insignificanti per molti, per te note caratteristiche e che costituiscono la magia del posto: un piccolo braciere di forma circolare con delle alci intagliate sopra, un’ancora arrugginita, una corda da barca arrotolata attorno a un palo, dei centesimi piantati sugli scalini in cemento che portano al cottage, come portafortuna… Eppoi gli alberi, la foresta, la vegetazione, così imponente, verde, protettiva, che ti sovrasta e che ti incute un certo timore reverenziale.
Il tramonto e la notte, quando il lago rischiara il buio della foresta riflettendo una luna grossissima, perfettamente circolare, con una luce che mi ricorda tanto un notturno di Munch.
Il temporale che ti sorprende la notte: in mezzo al bosco, chiuso dentro il cottage, che sembra lì lì per essere spazzato via da un momento all’altro, con quella pioggia fortissima e quei lampi che si scaricano nello specchio d’acqua (non neghi di aver avuto anche paura alle volte).
La mattina, con il fresco notturno che ancora non ha ceduto il passo al caldo estivo, leggersi un libro sullo sciamanesimo ascoltando la propria musica seduti di fronte al lago: raramente ho provato sensazioni di pace così intense ed appaganti.
Il fermarsi con la barca in mezzo al lago per rintracciare una cascata da visitare in mezzo al bosco: dato che è nascosta dalla foresta devi solo stare zitto ed ascoltare, sentire da dove proviene lo scroscio dell’acqua. Della serie, usiamo tutti i sensi visto che ce li abbiamo.
Purtroppo è durato tutto fin troppo poco, ma nelle immagini, nella musica, nei sensi, il Canada è sempre lì, ben impresso nei miei occhi e sulla mia pelle.
I Lux Interna sono una band di San Francisco facente parte del rooster della Pesanta Urfolk: chi già conosce questa etichetta può forse immaginarsi già le connotazioni geografiche ed artistiche seguite dal combo. I nostri suonano quello che a tutti gli effetti potrebbe essere incasellato nel Neofolk di matrice USA (c’è chi lo chiama Folk Apocalittico, ma non so, sinceramente non conosco la differenza tra i due generi). Nel loro ultimo “There is Light in the Body, There is Blood in the Sun” I nostril uniscono alla classica strumentazione acustica anche partiture elettriche, un po’ di effettistica qua e là e inserti suonati da strumenti “tipici” della cultura delle First Nations (i nativi americani, pare che ora la terminologia giusta sia questa). I loro pezzi hanno un ché di rituale, di purificatorio, sebbene siano venati da una certa oscurità di fondo che è rintracciabile, se spogliati dal black metal, anche in band come Alda, Wolves in The Throne Room e simili (quindi comunque gruppi “cascadiani”, della zona del Pacific North West). Da un punto di vista delle sensazioni comunicate i Nostri puntano a coinvolgere l’ascoltatore facendo leva non tanto sull’aggressività ma sulla ritualità, sulla ripetizione continua di strutture e voci, portando a casa un risultato molto simile a quello ottenuto dalle band sopra citate, e appagando l’ascoltatore donandogli un senso di pace e di unione con la natura. Molto del merito va alla sezione ritmica e alla voce del cantante, che molto mi ha ricordato il Lanegan di “Bubblegum”, il Cave delle “Murder Ballads” e, a sprazzi, anche il Lou Reed di “Venus in Furs”.
Se siete amanti del black metal “cascadiano” e ricercate le stesse sensazioni sotto un’altra veste i Lux Interna sono senza dubbio una scelta validissima da tenere in gran considerazione.

Tongues

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