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venerdì 27 gennaio 2012

I viaggi dell'anima



Chris non sentì  arrivare l’auto. Preso com’era dalla situazione e dai suoi pensieri scese di corsa dalla sua vettura per accorrere le persone vittime di un incidente. “Magari”, si disse, “se riesco a salvare loro è come se fossi stato presente e fossi riuscito a salvare anche Ian e Marie”. Ian e Marie erano i suoi figli adolescenti, morti in un tragico scontro automobilistico qualche anno prima: Chris non era con loro, e neppure Annie, sua moglie e madre dei ragazzi. L’uomo non fece in tempo a valutare la condizione dei feriti che due fari lo illuminarono, accecandolo: una forte botta, e tutto si spense.
Quando si risvegliò si sentiva stranamente bene, come se nulla fosse successo. Era in una casa insolitamente familiare, senza porte o finestre, illuminata da una caldissima luce, quella luce tipica dei tramonti autunnali o delle albe primaverili. Era a suo agio in quel posto, il cui pavimento era ricoperto da un sottilissimo strato d’acqua, in cui verde, fiori  e erba avvolgevano le colonne e davano un senso di vita alle pareti. Uscì di casa e fu sbalordito dal panorama che vide: immense valli si aprivano di fronte a sé, un mare all’orizzonte (o forse era un lago? Non lo sapeva dire con certezza), e un albero, forse un pesco, su una collina vicina, colorava di rosa (il colore dei suoi petali) la radura circostante. Chris riconobbe il luogo come il soggetto di uno dei dipinti di Annie, e l’abitazione altro non era che il luogo dove lui e sua moglie si sarebbero ritirati in vecchiaia, per passare lì i loro ultimi giorni “come due vecchie tartarughe che ridono contandosi le rughe”, come era solita dire Annie con un sorriso.
Allora capì tutto, si rese conto dell’incidente, era felice perché sapeva di essere in paradiso (o per lo meno, nel suo personale paradiso), ma allo stesso tempo, col passare dei giorni, si sentiva come all’inferno: sperava di rivedere i suoi ragazzi, ma ad eccezione di due giovani incontrati in quel posto non c’era traccia di Ian e Marie. E soprattutto sentiva la sofferenza di Annie, ormai sola in terra, privata dell’amore del marito e dei figli. La vedeva sfiorire, ora dopo ora, come quel pesco tanto bello che lei, nel mondo reale, decise un giorno di cancellare da un suo dipinto, e che di colpo, nel paradiso di Chris, si trasformò in uno scheletro senza vita.
Il suicidio di Annie era purtroppo nell’aria, e quando esso si concretizzò Chris non ci pensò due volte a recarsi nell’inferno dei suicidi per portarla con sé. Sapeva che i suicidi sono caparbi, che non si rendono conto del loro ultimo gesto e che rivivono con gran dolore la loro vita nei suoi colori più grigi e sbiaditi, ma non gli importava: doveva stare con lei, non importava dove. Nel suo viaggio verso l’inferno fu accompagnato dai due ragazzi che erano stati con lui fino a quel momento, e solo grazie a piccoli gesti, grazie a sorrisi o lacrime, si rese conto che aveva sempre avuto con sé i suoi due figli, solo con un altro aspetto, e che loro avevano sempre vegliato sulle sue azioni. Dopo averli salutati forse per l’ultima volta, entrò nella casa di Annie, una lugubre versione della dimora dei loro sogni, e dopo inutili parole si rassegnò all’idea di abbandonarsi al languido torpore che quella morte nella morte gli stava dando. Ma quando stava per chiudere gli occhi si sentì tirare da una mano calda, si sentì abbracciare, sentì il suo volto baciato da calde lacrime. E quando si risvegliò era con Annie, nella loro casa idilliaca: Annie lo aveva salvato, il loro amore aveva spezzato le catene che vincolano le anime ai loro destini, ed erano lì adesso, assieme ai loro figli, nella casa dei loro sogni. Il pesco era di nuovo in fiore, e i capelli rossi di Annie danzavano nel vento come quella coperta che lei aveva perso in quella soleggiata giornata di molti anni prima, quando i due si conobbero.

Il nuovo lavoro di Alcest, “Les Voyages de l’Ame”, non si discosta molto da quanto fatto dal francese nei due (tre se consideriamo l’EP a inizio carriera) dischi precedenti. Neige ci offre nuovamente la sua personale rievocazione nelle fiabe e nei sogni fanciulleschi della sua infanzia, e lo fa con la ben nota commistione di black metal, shoegaze e post rock (blackgaze pare si dica ora) da lui portata alla ribalta. Il black metal, inteso come base ritmica soprattutto, si è via via dileguato, comparendo solo in qualche accelerazione o nei davvero sporadici (purtroppo) scream del cantante. L’impianto melodico è retto da molli e languide chitarre dai toni sognanti e soavi, che si perdono e si assommano, si fondono e rinascono dalle loro stesse note. Come detto nessuna novità quindi, e se questo può ormai stancare qualche ascoltatore, dall’altra parte non può che far piacere a tanti fan di Alcest. Ma in fondo non credo che siano molti quelli che si aspettavano qualcosa di diverso da questo disco, che non raggiunge i fasti di “Souvenirs d’un Autre Monde”, capostipite del genere (se di un genere poi si tratta), ma si lascia ascoltare con molto piacere, e sa cullare e trasportare in altri mondi, altre realtà, talvolta anche al di là dei nostri stessi sogni.

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