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giovedì 19 gennaio 2012

Aurora autunnale

La notte era fredda, ma non lo spaventava: era abituato alle escursioni termiche di questo periodo, e la sua pelle, resa dura dalla vecchiaia e dalle tante primavere passate all'aperto a guidare le mandrie, aveva visto gelate ben peggiori.
Con fatica (ah quanto iniziavano a pesare i suoi anni) oltrepassò la collina e si trovò di fronte la Luna: grande, piena, splendente e straordinariamente vicina. Preso da un moto di solitudine, insolito per lui, gettò a terra il bastone, si appoggiò a un albero lì vicino e iniziò a conversare con l'Astro, come si fa con una sorella maggiore.
E si chiese che senso aveva lo svegliarsi ogni mattina, prendere i suoi carabattoli e incamminarsi per tutto il giorno con il suo gregge, tornarsene quindi  a casa (quando riusciva a farlo) alla sera, stanco sfinito, per poi ripartire il giorno successivo. "In questo senso" disse alla Luna, "ci somigliamo... Ma non ti stanchi mai tu? Non ti fanno ormai schifo questi prati, queste valli, queste strade?"
Riflettendo notò poi che una differenza c'era (e forse era anche un bene), la vita umana è solo una corsa continua, dalla culla a un orrido abisso, sempre con un peso sulle spalle: ha quindi, nel bene o nel male, fine prima o poi. "E tu invece", disse, "tu sei destinata per l'eternità a compiere questo tragitto, avanti e indietro, e non hai mai pace. Ma forse, cosa ti importa, tu non sei nemmeno mortale, cosa ti importa di noi formiche?"
E pensò che di fatto la vita dell'uomo è sofferenza sin dalla nascita (il pianto del nascituro ne è la subitanea presa di coscienza), e che i genitori stessi dovrebbero rinunciare a dare vita a una nuova creatura, se tanto sanno che dovrà poi stentare per vivere. Si commosse poi, e con un sorriso amaro alzò di nuovo gli occhi e le chiese: "Ma cosa ne so io in fondo della vita universale, io povero pastore errante dell'Asia! Chi c'è lì in cielo con te? A cosa servono quelle stelle? E questa immensità, perché pare stringersi attorno al mio cuore, bloccarmi il respiro, riempirmi i polmoni, e lasciarmi in dono questa inguaribile malinconia e solitudine? E io, chi sono io?"
Il pastore abbassò poi lo sguardo, verso le sue pecore che, placide, riposavano sull'erba. Si chiese se non sarebbe forse stato meglio nascere una di loro, che tranquille passano la loro vita nella noia, e non si fanno domande, e non si curano del male e di necessità se non quelle primarie. "Pecore mie," disse, "perché giacendo nell'ozio siete in pace con voi stesse, mentre per me il tedio e l'inattività sono fonte di dolore e malcontento?"
Poi, dopo una lunga pausa, si rivolse di nuovo alla Luna, e quasi a commiato le disse:
"O forse erra dal vero,
Mirando l'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
"
Detto ciò una lacrima scese dai suoi occhi vitrei. Se l'asciugò con il ruvido fazzoletto, riprese in mano il bastone, richiamò a sé le sue pecore e sparì, lentamente, all'orizzonte.
La magia di un disco come "Autumn Aurora" è percepibile e tangibile sin da subito. Alla seconda prova in studio gli ucraini Drudkh imprimono a cinque tracce di rara e maestosa epicità, la forza della natura, il senso di mistico abbandono alla sua inafferrabile bellezza, unendo il tutto alla rabbia disperata tipica di un black metal dai forti connotati pagani e panteistici.
Disco di grande effetto, in grado di far breccia nel cuore dell'ascoltatore sin dal primo momento, "Autumn Aurora" si conferma anche oggi, a distanza di otto anni dalla sua uscita, come una delle più alte vette compositive realizzate dal combo ucraino.

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