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venerdì 23 novembre 2018

2018: a (metal) retrospective

Il 2018 che sta per chiudersi è stato un anno musicalmente ricchissimo per me. Soprattutto nella seconda metà sono usciti molti dischi che sono entrati subito di diritto tra i miei favoriti: ventate d'aria fresca in un panorama che stava diventando per i miei gusti un po' troppo statico. Con ogni probabilità si tratta della lista più lunga da quando ho aperto questo blog (o almeno da quando pubblico questa sorta di retrospettiva)... Ma va bene così, la buona musica non è mai abbastanza!
E sì, lo so, manca poco più di un mese alla fine dell'anno, e magari spunta ancora qualcosa di nuovo e di interessante, ma non ce la facevo a trattenere ulteriormente questa listona!!!


Crippled Black Phoenix - "Great Escape"
I CBP sono un supergruppo tra le cui fila militano (o hanno militato) membri di band importanti nel panorama musicale come Mogwai o Electric Wizard, anche se il grosso del progetto ruota attorno al polistrumentista Justin Greaves. In ogni disco dei Nostri confluiscono le varie esperienze dei componenti, e questo disco non fa eccezione. Semplificando siamo di fronte a un album di prog elegante, raffinato ma assolutamente non manieristico o cervellotico. Echi di Pink Floyd, Porcupine Tree, Pain of Salvation e Anathema dei primi 2000 si alternano senza soluzione di continuità nelle varie tracce, unendosi ad una verve tipica del post rock più malinconico e ad accenni di folk. Ne esce un disco affascinante, non di facile assimilazione ma in grado di regalare grosse soddisfazioni una volta che lo si è padroneggiato.




Winterfylleth - "The Hallowing of Heirdom"
Tra le più belle rivelazioni dell'anno! Gli inglesi hanno spogliato la loro musica di qualsiasi reminiscenza black dando alle stampe un commovente omaggio folk alla loro terra, alla natura e alle tradizioni. Il disco trasuda romanticismo (in termini letterari), ha un'eleganza assoluta e non annoia: chiunque ami l'Inghilterra e soprattutto la sua natura, le sue campagne e i suoi boschi non potrà non amare questo disco!






Esben and the Witch - "Nowhere"
Aspettavo con una certa ansia il nuovo lavoro degli anglo/tedeschi, e dopo un attimo di sbandamento non ne sono rimasto deluso, tutt'altro!
"Nowhere" prende in parte le mosse da "Older Terrors" ma si muove in maniera più intima e subdola. Le fiabe di mostri che i nostri sembravano raccontarci nel precedente lavoro sono forse adesso meno inquietanti delle storie che Rachel e soci vogliono comunicarci con questo disco, più reali, più mature e urtanti, sebbene musicalmente siamo forse di fronte ad un disco meno potente del predecessore, ma egualmente affascinante e prorompente.






Raum Kingdom - "Everything & Nothing"
La band irlandese si era fatta conoscere con un EP molto promettente, e le attese sono state mantenute con il loro primo full. Siamo di fronte ad una band di onesto ma allo stesso tempo molto personale post metal, che viaggia su atmosfere sì rarefatte ma alla bisogna anche feroci, il tutto mantenendo un piglio solenne e quasi sacrale. Molto spesso mi sono tornate alla mente certe atmosfere tipiche degli Amenra, merito sia delle intelaiature melodiche intense e coinvolgenti, sia della bellissima voce del cantante, in grado di passare da un soffice clean a un violento scream di matrice hc. Molto personali e appaganti, consigliati soprattutto a chi cerca una variante (non un clone!) del gruppo belga sopra citato.






Eneferens - "The Bleakness of our Consistant"
Eccoci di fronte ad un'altra sorpresa! Il progetto Eneferens (si tratta infatti di una one man band) mischia in maniera abilissima molti generi non solo di metal, creando una miscela assolutamente affascinante e ben fatta, nella quale i vari riferimenti sono sì distinguibili ma non costituiscono un patchwork senza senso. Il Nostro è riuscito a dare una precisa forma alle sue idee, confezionando un disco di black atmosferico molto melodico e "orecchiabile". Un po' come recentemente avevano fatto anche gli Ashbringer (made in USA, pure loro), Eneferens unisce abilmente black, death, doom, folk, leggeri echi di prog e addirittura post metal, per dare vita a un disco freddo nelle atmosfere ma caldissimo e coinvolgente dal lato emotivo.






Wayfarer - "World's Blood"
Abbandonati i retaggi pagan black gli americani Wayfarer si dedicano ad un personalissimo post black metal dalle forti tinte cinematografiche, con specifico focus sulla potenza della natura della loro zona (il Colorado) e sul sangue versato un paio di secoli fa dai popoli che abitavano quelle terre prima della colonizzazione. E' come se le atmosfere post apocalittiche dei GY!BE si muovessero su scenari di far west ormai in declino, con come base una solenne colonna sonora di post black metal. Tribalismo, riff tirati e coinvolgenti, una prestazione vocale sofferta ma sentita fanno di questo disco uno delle migliori uscite dell'anno!






Red Apollo - "The Laurels of Serenity"
I tedeschi Red Apollo sono artefici dell'ennesima prestazione maiuscola! Siamo in territori di post metal (quello tedesco, che molto spesso unisce al genere echi più o meno forti di crust e post hc), ma in questo caso i Nostri sembrano alleggerire i toni (sembrano!), con pezzi che hanno un piglio quasi post rock nel modo in cui crescono e deflagrano, e molto spazio è stato lasciato alle melodie. Le tracce sono eterogenee e ben pensate, e dimostrano insieme l'amore del gruppo per queste sonorità ma allo stesso tempo la loro perizia tecnica e l'abilità nel rendere una proposta distinguibile in un panorama da anni sovraccarico.






Solstice (UK) - "White Horse Hill"
Ecco un altro disco che attendevo impazientemente! Non mi definisco amante delle sonorità epic doom, ma ho sempre avuto un debole per i britannici Solstice. Capaci di melodie dalla forte componente insieme epica, tragica e titanica, i Nostri mi hanno sempre affascinato sin da quel capolavoro di "New Dark Age". Con questo album gli albionici ci ammaliano con un riffing epico, una voce a tratti toccante e tantissima atmosfera, con un "fare doom" che è tipicamente britannico. Graditissimo ritorno!






Vouna - "s/t"
Dal fitto dei boschi della Cascadia emerge sul finire del mese scorso Vouna, una one man (o meglio, "woman") band di assoluto rilievo. Dietro questo progetto si nasconde infatti Yianna Bekris di Olympia, Washington, che coadiuvata per l'occasione dai fratelli Weaver (Wolves in the Throne Room) ha realizzato quello che viene descritto come un disco di lento funeral doom, in realtà più dalle parti di un black/doom rarefatto, che fa uso di synth e passaggi acustici. Sono tracce dal sound catartico, solenne e rurale, ma anche lacerante quando prendono piede le chitarre... Un riferimento il più possibile vicino a Vouna possono essere pezzi dei WITTR come "Dea Artio", "Cleansing" o "A Looming Resonance", con i quali Vouna condivide atmosfere sciamaniche e andamento ritualistico. Un progetto di valore, dal livello molto alto che potrebbe regalarci in futuro altre belle sorprese.






Ancst - "Ghost of timeless Void"
In questo 2018 mi sono avvicinato per la prima volta in maniera razionale ai tedeschi Ancst, ed è stato un incontro coi fiocchi! Estremamente prolifica la band è fautrice di un suono riconducibile al filone (neo)crust e post black tedesco, ma ad ogni uscita cerca di rinnovarsi aggiungendo elementi debitori da altre sonorità, che anche se non stravolgono i vari album li rendono in qualche modo più particolari. Travolgenti!






Panopticon - "The Scars of Men on the once nameless Wilderness pt2"
Lo ammetto, non sono mai stato un estimatore di Austin Lunn e del suo progetto Panopticon: troppo difficile da assimilare per me, un black troppo spesso sfaccettato e particolare per essere compreso pienamente. Poi in questo 2018 esce il doppio “The Scars of Man on the Once Nameless Wilderness”, e resto ammaliato dalla bellezza del secondo dei dei dischi che compongono questo lavoro. Lasciato in un angolo il black, qui Panopticon spoglia la sua musica di ogni rimando al mondo del metal, regalandoci dieci pezzi che sono di fatto un tributo al folk americano, allo slowcore e al (dark) country. C’è intimità in questo disco, introspezione, e questa manciata di canzoni si meritano tutta la pace e la tranquillità di questo mondo per permetterci di pensare, di riflettere, semplicemente di prenderci un attimo per noi stessi. Un piccolo capolavoro.





Marnero - "Quando vedrai le Navi in Fiamme sarà giunta l'Ora"
Altra (ennesima!) sorpresa del 2018 sono gli italianissimi (di Bologna) Marnero, ensemble hc/posthc (per semplificare) che ho avuto la fortuna di apprezzare live durante un concerto. I Nostri sono come detto fautori di un posthc dalla grande emozionalità, potente, travolgente, che non lascia respiro, un po' come un mare oscuro in burrasca le cui onde ti travolgono continuamente. Gli attimi di pace, le fughe melodiche e le progressioni tipiche del post rock, sono largamente controbilanciate da un'urgenza narrativa e verbale notevole: versi su versi sono recitati con foga, mentre muri di chitarre si elevano e collassano continuamente. Si tratta di un lavoro notevole, che può non essere apprezzato da tutti, ma se hai la fortuna e la pazienza di capirlo si impossessa di te e non ti lascia più!






Holy Fawn - "Death Spells"
In chiusura o quasi metto questa band di recentissima scoperta, che mi ha stregato e che non mi sta dando tregua da almeno due settimane. Americani, gli Holy Fawn hanno messo in piedi un disco impressionante per intensità e forza, con influenze che vanno dal dream pop al post rock, dallo shoegaze al post black metal, dal postpunk con riverberi darkwave all’emocore. Un momento percepisci gli I Love You but I’ve chosen Darkness, un attimo dopo i Thursday o certe esplosioni tipiche degli Envy, mitigate magari da una voce che tanto ricorda i Sigur Ros. Poi arriva una folata di vento gelido e sopraggiunge Clouds Collide con tutta la sua carica emotiva unita al post black metal; ma c’è della dolcezza in questa malinconia, ci sono il dream pop e lo shoegaze degli ultimi Klimt 1918 a mitigare il gelo con tiepide e rassicuranti carezze di calore. Per il momento in cui l'ho scoperto si tratta di un disco perfetto per questo momento dell’anno (fine autunno/inverno), travolgente se si stanno vivendo momenti della propria vita in cui i fantasmi giocano a nascondino con i propri ricordi, un album intimo ma allo stesso tempo adatto a tutti. Si tratta insomma di una vera e propria gemma, che non dovete assolutamente lasciarvi sfuggire.






Avast - "Mother Culture"
Da non confondersi con l'antivirus per pc con lo stesso nome, i norvegesi Avast sul finire del mese scorso ha dato alle stampe il suo primo full, "Mother Culture", concettualmente basato sulla nascita e progressivo degrado della nostra civiltà, parallelo allo sfruttamento ed esaurimento delle risorse del pianeta. Un disco drammatico, violento e quasi crudele, con sonorità che richiamano al blackgaze dei vari Ghost Bath, Numenorean e Deafheaven, con una poetica alla base che è un po' la marcia in più di questa band!






...e infine, menzione d'onore! Nel 2016 il progetto Wolcensmen (dietro il quale si nasconde il chitarrista dei Winterfylleth Dan Capp) ha dato alle stampe il debutto autoprodotto “Songs from the Fyrgen”, ma in questo 2018 è stato finalmente ristampato e ridistribuito da un'etichetta così da dargli tutta la visibilità che si merita. Siamo nuovamente in territori folk, diciamo che è un po' una faccia di una medaglia sulla quale, nell'altro lato, sono raffigurati i Winterfylleth con il loro ultimo lavoro. Anche in questo lavoro sentiamo limpida fierezza, umiltà, amore per le proprie origini e per il proprio passato: con dolcezza il Nostro descrive una natura armoniosa e al tempo stesso apra, una terra piena di contrasti, di colori solo apparentemente pallidi, di sapori da scoprire pian piano. Un riferimento potrebbe essere cercato in certe cose fatte dagli Empyrium o appunto nei Winterfylleth, anche se qui forse l'accento è più marcato verso un neofolk/pagan. Ora che è facilmente reperibile non deve mancare nella vostra raccolta se siete fan di queste sonorità!






Per questo 2018 direi che è tutto! E' stata una carrellata molto lunga attraverso generi musicali diversi eppure molto spesso intrecciati gli uni con gli altri. Personalmente sento di aver avuto la fortuna di poter apprezzare bellissimi lavori durante tutto questo anno, molti dei quali, ne sono certo, resteranno a lungo nella mia personale top 20 (come minimo)! Ci vediamo tra un anno con la prossima retrospettiva!

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