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venerdì 23 novembre 2018

2018: a (metal) retrospective

Il 2018 che sta per chiudersi è stato un anno musicalmente ricchissimo per me. Soprattutto nella seconda metà sono usciti molti dischi che sono entrati subito di diritto tra i miei favoriti: ventate d'aria fresca in un panorama che stava diventando per i miei gusti un po' troppo statico. Con ogni probabilità si tratta della lista più lunga da quando ho aperto questo blog (o almeno da quando pubblico questa sorta di retrospettiva)... Ma va bene così, la buona musica non è mai abbastanza!
E sì, lo so, manca poco più di un mese alla fine dell'anno, e magari spunta ancora qualcosa di nuovo e di interessante, ma non ce la facevo a trattenere ulteriormente questa listona!!!


Crippled Black Phoenix - "Great Escape"
I CBP sono un supergruppo tra le cui fila militano (o hanno militato) membri di band importanti nel panorama musicale come Mogwai o Electric Wizard, anche se il grosso del progetto ruota attorno al polistrumentista Justin Greaves. In ogni disco dei Nostri confluiscono le varie esperienze dei componenti, e questo disco non fa eccezione. Semplificando siamo di fronte a un album di prog elegante, raffinato ma assolutamente non manieristico o cervellotico. Echi di Pink Floyd, Porcupine Tree, Pain of Salvation e Anathema dei primi 2000 si alternano senza soluzione di continuità nelle varie tracce, unendosi ad una verve tipica del post rock più malinconico e ad accenni di folk. Ne esce un disco affascinante, non di facile assimilazione ma in grado di regalare grosse soddisfazioni una volta che lo si è padroneggiato.




Winterfylleth - "The Hallowing of Heirdom"
Tra le più belle rivelazioni dell'anno! Gli inglesi hanno spogliato la loro musica di qualsiasi reminiscenza black dando alle stampe un commovente omaggio folk alla loro terra, alla natura e alle tradizioni. Il disco trasuda romanticismo (in termini letterari), ha un'eleganza assoluta e non annoia: chiunque ami l'Inghilterra e soprattutto la sua natura, le sue campagne e i suoi boschi non potrà non amare questo disco!






Esben and the Witch - "Nowhere"
Aspettavo con una certa ansia il nuovo lavoro degli anglo/tedeschi, e dopo un attimo di sbandamento non ne sono rimasto deluso, tutt'altro!
"Nowhere" prende in parte le mosse da "Older Terrors" ma si muove in maniera più intima e subdola. Le fiabe di mostri che i nostri sembravano raccontarci nel precedente lavoro sono forse adesso meno inquietanti delle storie che Rachel e soci vogliono comunicarci con questo disco, più reali, più mature e urtanti, sebbene musicalmente siamo forse di fronte ad un disco meno potente del predecessore, ma egualmente affascinante e prorompente.






Raum Kingdom - "Everything & Nothing"
La band irlandese si era fatta conoscere con un EP molto promettente, e le attese sono state mantenute con il loro primo full. Siamo di fronte ad una band di onesto ma allo stesso tempo molto personale post metal, che viaggia su atmosfere sì rarefatte ma alla bisogna anche feroci, il tutto mantenendo un piglio solenne e quasi sacrale. Molto spesso mi sono tornate alla mente certe atmosfere tipiche degli Amenra, merito sia delle intelaiature melodiche intense e coinvolgenti, sia della bellissima voce del cantante, in grado di passare da un soffice clean a un violento scream di matrice hc. Molto personali e appaganti, consigliati soprattutto a chi cerca una variante (non un clone!) del gruppo belga sopra citato.






Eneferens - "The Bleakness of our Consistant"
Eccoci di fronte ad un'altra sorpresa! Il progetto Eneferens (si tratta infatti di una one man band) mischia in maniera abilissima molti generi non solo di metal, creando una miscela assolutamente affascinante e ben fatta, nella quale i vari riferimenti sono sì distinguibili ma non costituiscono un patchwork senza senso. Il Nostro è riuscito a dare una precisa forma alle sue idee, confezionando un disco di black atmosferico molto melodico e "orecchiabile". Un po' come recentemente avevano fatto anche gli Ashbringer (made in USA, pure loro), Eneferens unisce abilmente black, death, doom, folk, leggeri echi di prog e addirittura post metal, per dare vita a un disco freddo nelle atmosfere ma caldissimo e coinvolgente dal lato emotivo.






Wayfarer - "World's Blood"
Abbandonati i retaggi pagan black gli americani Wayfarer si dedicano ad un personalissimo post black metal dalle forti tinte cinematografiche, con specifico focus sulla potenza della natura della loro zona (il Colorado) e sul sangue versato un paio di secoli fa dai popoli che abitavano quelle terre prima della colonizzazione. E' come se le atmosfere post apocalittiche dei GY!BE si muovessero su scenari di far west ormai in declino, con come base una solenne colonna sonora di post black metal. Tribalismo, riff tirati e coinvolgenti, una prestazione vocale sofferta ma sentita fanno di questo disco uno delle migliori uscite dell'anno!






Red Apollo - "The Laurels of Serenity"
I tedeschi Red Apollo sono artefici dell'ennesima prestazione maiuscola! Siamo in territori di post metal (quello tedesco, che molto spesso unisce al genere echi più o meno forti di crust e post hc), ma in questo caso i Nostri sembrano alleggerire i toni (sembrano!), con pezzi che hanno un piglio quasi post rock nel modo in cui crescono e deflagrano, e molto spazio è stato lasciato alle melodie. Le tracce sono eterogenee e ben pensate, e dimostrano insieme l'amore del gruppo per queste sonorità ma allo stesso tempo la loro perizia tecnica e l'abilità nel rendere una proposta distinguibile in un panorama da anni sovraccarico.






Solstice (UK) - "White Horse Hill"
Ecco un altro disco che attendevo impazientemente! Non mi definisco amante delle sonorità epic doom, ma ho sempre avuto un debole per i britannici Solstice. Capaci di melodie dalla forte componente insieme epica, tragica e titanica, i Nostri mi hanno sempre affascinato sin da quel capolavoro di "New Dark Age". Con questo album gli albionici ci ammaliano con un riffing epico, una voce a tratti toccante e tantissima atmosfera, con un "fare doom" che è tipicamente britannico. Graditissimo ritorno!






Vouna - "s/t"
Dal fitto dei boschi della Cascadia emerge sul finire del mese scorso Vouna, una one man (o meglio, "woman") band di assoluto rilievo. Dietro questo progetto si nasconde infatti Yianna Bekris di Olympia, Washington, che coadiuvata per l'occasione dai fratelli Weaver (Wolves in the Throne Room) ha realizzato quello che viene descritto come un disco di lento funeral doom, in realtà più dalle parti di un black/doom rarefatto, che fa uso di synth e passaggi acustici. Sono tracce dal sound catartico, solenne e rurale, ma anche lacerante quando prendono piede le chitarre... Un riferimento il più possibile vicino a Vouna possono essere pezzi dei WITTR come "Dea Artio", "Cleansing" o "A Looming Resonance", con i quali Vouna condivide atmosfere sciamaniche e andamento ritualistico. Un progetto di valore, dal livello molto alto che potrebbe regalarci in futuro altre belle sorprese.






Ancst - "Ghost of timeless Void"
In questo 2018 mi sono avvicinato per la prima volta in maniera razionale ai tedeschi Ancst, ed è stato un incontro coi fiocchi! Estremamente prolifica la band è fautrice di un suono riconducibile al filone (neo)crust e post black tedesco, ma ad ogni uscita cerca di rinnovarsi aggiungendo elementi debitori da altre sonorità, che anche se non stravolgono i vari album li rendono in qualche modo più particolari. Travolgenti!






Panopticon - "The Scars of Men on the once nameless Wilderness pt2"
Lo ammetto, non sono mai stato un estimatore di Austin Lunn e del suo progetto Panopticon: troppo difficile da assimilare per me, un black troppo spesso sfaccettato e particolare per essere compreso pienamente. Poi in questo 2018 esce il doppio “The Scars of Man on the Once Nameless Wilderness”, e resto ammaliato dalla bellezza del secondo dei dei dischi che compongono questo lavoro. Lasciato in un angolo il black, qui Panopticon spoglia la sua musica di ogni rimando al mondo del metal, regalandoci dieci pezzi che sono di fatto un tributo al folk americano, allo slowcore e al (dark) country. C’è intimità in questo disco, introspezione, e questa manciata di canzoni si meritano tutta la pace e la tranquillità di questo mondo per permetterci di pensare, di riflettere, semplicemente di prenderci un attimo per noi stessi. Un piccolo capolavoro.





Marnero - "Quando vedrai le Navi in Fiamme sarà giunta l'Ora"
Altra (ennesima!) sorpresa del 2018 sono gli italianissimi (di Bologna) Marnero, ensemble hc/posthc (per semplificare) che ho avuto la fortuna di apprezzare live durante un concerto. I Nostri sono come detto fautori di un posthc dalla grande emozionalità, potente, travolgente, che non lascia respiro, un po' come un mare oscuro in burrasca le cui onde ti travolgono continuamente. Gli attimi di pace, le fughe melodiche e le progressioni tipiche del post rock, sono largamente controbilanciate da un'urgenza narrativa e verbale notevole: versi su versi sono recitati con foga, mentre muri di chitarre si elevano e collassano continuamente. Si tratta di un lavoro notevole, che può non essere apprezzato da tutti, ma se hai la fortuna e la pazienza di capirlo si impossessa di te e non ti lascia più!






Holy Fawn - "Death Spells"
In chiusura o quasi metto questa band di recentissima scoperta, che mi ha stregato e che non mi sta dando tregua da almeno due settimane. Americani, gli Holy Fawn hanno messo in piedi un disco impressionante per intensità e forza, con influenze che vanno dal dream pop al post rock, dallo shoegaze al post black metal, dal postpunk con riverberi darkwave all’emocore. Un momento percepisci gli I Love You but I’ve chosen Darkness, un attimo dopo i Thursday o certe esplosioni tipiche degli Envy, mitigate magari da una voce che tanto ricorda i Sigur Ros. Poi arriva una folata di vento gelido e sopraggiunge Clouds Collide con tutta la sua carica emotiva unita al post black metal; ma c’è della dolcezza in questa malinconia, ci sono il dream pop e lo shoegaze degli ultimi Klimt 1918 a mitigare il gelo con tiepide e rassicuranti carezze di calore. Per il momento in cui l'ho scoperto si tratta di un disco perfetto per questo momento dell’anno (fine autunno/inverno), travolgente se si stanno vivendo momenti della propria vita in cui i fantasmi giocano a nascondino con i propri ricordi, un album intimo ma allo stesso tempo adatto a tutti. Si tratta insomma di una vera e propria gemma, che non dovete assolutamente lasciarvi sfuggire.






Avast - "Mother Culture"
Da non confondersi con l'antivirus per pc con lo stesso nome, i norvegesi Avast sul finire del mese scorso ha dato alle stampe il suo primo full, "Mother Culture", concettualmente basato sulla nascita e progressivo degrado della nostra civiltà, parallelo allo sfruttamento ed esaurimento delle risorse del pianeta. Un disco drammatico, violento e quasi crudele, con sonorità che richiamano al blackgaze dei vari Ghost Bath, Numenorean e Deafheaven, con una poetica alla base che è un po' la marcia in più di questa band!






...e infine, menzione d'onore! Nel 2016 il progetto Wolcensmen (dietro il quale si nasconde il chitarrista dei Winterfylleth Dan Capp) ha dato alle stampe il debutto autoprodotto “Songs from the Fyrgen”, ma in questo 2018 è stato finalmente ristampato e ridistribuito da un'etichetta così da dargli tutta la visibilità che si merita. Siamo nuovamente in territori folk, diciamo che è un po' una faccia di una medaglia sulla quale, nell'altro lato, sono raffigurati i Winterfylleth con il loro ultimo lavoro. Anche in questo lavoro sentiamo limpida fierezza, umiltà, amore per le proprie origini e per il proprio passato: con dolcezza il Nostro descrive una natura armoniosa e al tempo stesso apra, una terra piena di contrasti, di colori solo apparentemente pallidi, di sapori da scoprire pian piano. Un riferimento potrebbe essere cercato in certe cose fatte dagli Empyrium o appunto nei Winterfylleth, anche se qui forse l'accento è più marcato verso un neofolk/pagan. Ora che è facilmente reperibile non deve mancare nella vostra raccolta se siete fan di queste sonorità!






Per questo 2018 direi che è tutto! E' stata una carrellata molto lunga attraverso generi musicali diversi eppure molto spesso intrecciati gli uni con gli altri. Personalmente sento di aver avuto la fortuna di poter apprezzare bellissimi lavori durante tutto questo anno, molti dei quali, ne sono certo, resteranno a lungo nella mia personale top 20 (come minimo)! Ci vediamo tra un anno con la prossima retrospettiva!

martedì 20 novembre 2018

Looming Resonances



Ho scelto questa grotta perché non lontana dall'accampamento Chinook che mi ha ospitato ed addestrato alle pratiche sciamaniche durante tutti questi mesi: non me la sentivo di interrompere il legame con loro, sebbene l'esperienza che sto per intraprendere deve essere affrontata da solo. Inoltre riesco ancora a sentire in lontananza i loro tamburi rituali, le cui pulsazioni si sono ormai da tempo sostituite ai battiti del mio cuore.
Spostate le fronde che bloccano l'apertura inizio a scendere nel freddo ed umido cunicolo sotterraneo: con me solo una piccola torcia ad illuminare i miei passi; dietro di me la luce del sole si allontana sempre di più, e con essa ogni rumore. Via via che scendo abbandono alle mie spalle gli odori del muschio che tappezza le fredde pareti e del terriccio, soffice pavimento, presto sostituito dalla nuda roccia. In poco tempo raggiungo il punto più profondo della grotta, un nido oscuro, asettico, assolutamente lontano dalle interferenze umane eppure così vicino a quelle della Terra. Mi siedo, spengo la piccola torcia, e attendo che il digiuno che mi sono imposto faccia il suo effetto ed alteri le mie percezioni: chi sto aspettando necessita di un'attenzione particolare, non umana, non completamente razionale.
Occhi chiusi, il respiro tranquillo del mio corpo come unico flebile rumore, resto in ascolto non con l'udito ma con la pelle, con le palpebre chiuse, con il viso proteso verso il buio. Le mie guance sono sfiorate da una morbida carezza, accompagnata da un fruscìo rapido, ma questo suono, questo tocco di seta, svanisce presto, non si ferma. Avverto poi in lontananza, da qualche parte della grotta, quasi ci fosse un cunicolo ancora più sotto, uno scalpitare che man mano si avvicina, ma anche questo mi urta quasi con una folata di vento per poi scomparire.
Poi nel buio più totale è come se una luce rischiarasse la parete di fronte a me. Si fa via via più definita la sagoma di una donna, bellissima, nuda, capelli lunghi e neri. Mi guarda, mi fa cenno con la mano di avvicinarmi, ma i suoi occhi brillano in maniera innaturale: non mi alzo, non la seguo, con una fermezza non da me cerco di cancellarla dalla mia mente. La vedo adesso più cattiva, ghignante, e con un sibilo, con delle parole dette tra i denti digrignati (capisco solo "ki-sikil-lil-la-ke") svanisce.
Ormai deluso dalle vane attese faccio per alzarmi e tornarmene sui miei passi quando qualcosa accade: le mie mani sono sfiorate da quello che sembra essere un ramo, dalla consistenza ossea e molto robusto, che si muove. Qualcosa respira sulla mia mano, un muso di animale sembra, e capisco che quello che avevo inizialmente identificato come ramo sono in realtà corna. Avverto calore, gioia, sensazione di fratellanza (per quanto possa capirne io di fratelli, essendo figlio unico), ma è un attimo, e il tutto svanisce. Solo che stavolta, lo so, si tratta di quello che stavo aspettando: la mia fatica è stata premiata. Apro gli occhi, accendo la piccola torcia, e la grotta è come l'avevo lasciata, forse impercettibilmente più calda. Apro lo zaino, mangio qualcosa per rimettermi in forze, poi mi alzo e mi incammino nuovamente verso la luce del sole, risalendo la mia grotta. Sono entrato da solo, esco con un fratello.
Dietro Vouna si nasconde una sola persona, Yianna Bekris di Olympia, Washington. Questa città ha dato i natali in ambito metal a una band particolarmente collegata a questo progetto, i Wolves in the Throne Room, e infatti i fratelli Weaver hanno collaborato con l'artista nella realizzazione di queste cinque tracce, suonando alcuni strumenti o registrando il tutto. Ma il concept, l'idea madre, il songwriting e in generale le briglie di Vouna restano saldamente in mano alla Bekris. Annunciato come disco di lento funeral doom, siamo in realtà più dalle parti di un black/doom molto rarefatto, con largo uso di synth e passaggi acustici, catartico nel suo incedere solenne e rurale, ma anche lacerante quando prendono piede le chitarre (dal suono innegabilmente legato ai fratelli Weaver). ll paragone più diretto può essere fatto con pezzi dei WITTR come "Dea Artio", "Cleansing" o "A Looming Resonance", con i quali Vouna condivide atmofere sciamaniche e andamento ritualistico. All'interno dei pezzi le strutture giocano molto su climax ascendenti e su riff che si assommano gli uni sugli altri: quella che inizialmente può sembrare ripetizione è in realtà funzionale al pathos del pezzo.
Sebbene forse a tratti un po' acerbo il debutto di Vouna è un disco di valore, un progetto che va tenuto d'occhio perché potrebbe regalare in futuro graditissime sorprese. Non siamo ancora ai livelli raggiunti da una Chelsea Wolfe nelle sue ultime produzioni, ma il livello qualitativo è già dannatamente alto.

https://www.debaser.it/vouna/vouna/recensione

lunedì 19 novembre 2018

Hai paura del Bosco?




Ci sono boschi strani, cupi, ancestrali, rifugio per le nostre paure più arcane. Questi luoghi sono popolati da creature che di norma albergano solo nella nostra testa, nelle nostre paranoie, nei nostri incubi, esseri alimentati dalle nostre lacrime e dai nostri brividi, dai pianti di quando eravamo bambini ed avevamo paura a lasciare la mano calda e protettiva dei genitori, ma anche dalle incertezze che viviamo ogni giorno, "da grandi", lanciati in un mondo che non riusciamo a comprendere.
Questi boschi oscuri sono frondosi, non lasciano filtrare la luce, sono rigogliosi in maniera selvaggia e anarchica, con piante che si scavalcano per accaparrarsi uno spiraglio di sole. In essi niente è come sembra, per cui se ti incammini attraverso le fronde puoi imbatterti in una Cappuccetto Rosso cinica cacciatrice che, accortasi che la nonna è in realtà un famelico lupo mannnaro, non esita ad ucciderla brutalmente. Sadici nobili seviziano e torturano i propri sudditi anziché proteggerli dalle creature della foresta, mentre giovani avventurieri non esitano ad infierire le loro lame nei corpi tremanti di paura degli elfi che hanno sconfitto con subdoli tranelli.
Niente è come sembra abbiamo detto, per cui potresti addirittura provare anche pena per la Bestia che viene abbandonata dalla Bella dopo che la povera creatura è stata sedotta dalla ragazza salvo poi vedersi derubata della preziosa rosa, unica sua speranza di salvezza. I poveri lupi che allevano i bambini abbandonati nel bosco, per poi essere sterminati da quelle stesse creature, poi cresciute, che avevano salvato, o i vampiri che si innamorano delle proprie vittime e quando meno se lo aspettano vengono pugnalati dal cuore... Tutti questi poveri esseri alla fine sembrano quasi le vittime in questi boschi cupi, in cui tutto sembra essere sotto sopra.
Quello che ci spaventa di più spesso non è il mostro, il deforme, il solo apparentemente minaccioso. Il vero terrore, la paura, lo sconforto, queste sensazioni ci attanagliano con mani gelide quando a tradirci sono le nostre certezze, i nostri punti saldi, i nostri eroi che si rivelano essere sporchi arrivisti o cinici traditori. Quando, "da grandi", ti trovi da solo ad affrontare cose più grandi di te come la morte, l'incertezza verso il domani, i "se" che ogni giorno ti si presentano, in quei momenti pensi con nostalgia e malinconia a quei mostri brutti e paurosi che da bambino sono sempre stati i capri espiatori e i catalizzatori delle tue paure. Pensi a loro, e in fondo, forse, erano loro i "buoni", sono stati loro a farti crescere.
Certi boschi sono cupi, pericolosi, ma sanno mascherarsi bene, e per questo è ancora più difficile uscirne una volta che per sbaglio ci siamo addentrati tra gli alberi.
Sul finire di questo 2018 tornano gli Esben and the Witch (EATW), trio inglese con base in Germania che due anni fa ci aveva regalato lo splendido "Older Terrors". Il trio è capace di ricreare un'atmosfera magica e straniante, i cui ingredienti sono principalmente dream pop, post punk, gothic, post rock, e un certo oscuro cantautorato. Quello che ne otteniamo è, detto in poche parole, un viaggio negli incubi. Questo "Nowhere" sviluppa ulteriormente la formula creata nel precedente disco, parte da basi simili ma si muove verso direzioni leggermente diverse. Qui i Nostri dirigono il proprio tiro verso atmosfere più intime e ancor meno immediate: le paure, le angosce, a mio parere da sempre oggetto degli EATW, sono qui ancora più subdole, più striscianti, meno visibili. Il bosco attraverso il quale Rachel ci porta adesso è ancor più sinistro e pauroso se vogliamo. Con calma, ascolto dopo ascolto, veniamo catturati dalle melodie e dalle ritmiche travolgenti dei Nostri, che ci colpiscono ancora più in profondità, sollevando dubbi e timori ben nascosti. Diciamo che con "Older Terrors" i Nostri ci hanno raccontato delle fiabe tenebrose, ma con "Nowhere" ci mettono di fronte ai mostri veri, quelli davvero cattivi, quelli paurosi, e con successo ci trasportano in un mondo solo apparentemente meno oscuro, in realtà terribilmente annichilente.
Il disco necessita di molti ascolti per essere compreso, ma la lunghezza non proibitiva gioca in suo favore favorendone l'assimilazione. Gli Esben and the Witch si confermano ancora una volta come una delle band più estrose e "particolari" uscite negli ultimi anni.

Golden Purifier

https://www.debaser.it/esben-and-the-witch/nowhere/recensione

venerdì 16 novembre 2018

Un disco sull'assenza



Quanto sono forti le cose che non ci sono? Nel bilanciamento tra pieno e vuoto, che peso ha l’assenza nei confronti della presenza?
Sono in giardino, in una soleggiata mattina di fine novembre, il sole è alto e il cielo è sgombro, ma i raggi non riscaldano più (assenza di calore). Sono seduto sotto un albero, giocherello con le foglie marroni cadute dai rami, le prendo in mano, le stringo, si frantumano tra le mie dita. Il suono è piacevole, le foglie sono croccanti, ma sono morte (assenza di vita). Poi di colpo mi metto a pensare a una persona, al passato, a quando ero piccolo, e a quanto mi divertivo, d’autunno, a correre nel bosco e a sdraiarmi tra i mucchi di foglie dorate, mentre lo sguardo vigile ma divertito di questa persona vegliava su di me. Solo che questa persona adesso non c’è più, e il sorriso che ha animato il mio viso mentre ricordava si trasforma, il volto si fa serio: ti restano adesso solo ricordi (assenza di un affetto). Mi alzo, mi dirigo verso casa, e con un movimento quasi istintivo tocco l’edera le cui foglie, ora rosso fuoco, si attorcigliano attorno alla balconata. Mi aspetto che il colore acceso si traduca in calore, ma non è così: le foglie sono fredde, inumidite dalla nebbia mattutina, sembrano quasi di plastica, finte (assenza di calore, di vita, di aspettative).
Quando l’assenza ti colpisce con la sua presenza fa un rumore assordante perché si rivela in tutta la sua forza, ti fa capire quanto sia funzionale al tutto, quanto “quello che non c’è” sia importante quasi quanto “quello che c’è” se non addirittura di più. L’assenza ci fa apprezzare la presenza, il vuoto ci fa amare il pieno, il freddo alla lunga ci fa desiderare il caldo che riscaldi, per un po’, le nostre ossa.
Death Spells” degli americani Holy Fawn è un disco sull’assenza. Non che questo sia il concept dell’album, o almeno, questa ne è la mia interpretazione. E’ un disco che parla di fantasmi, che descrive le fredde mattinate tardo autunnali, quando gli ultimi raggi autunnali del sole sono un tiepido ricordo, li percepisci vagamente ma sono forse più nella tua testa che sulla tua pelle. E’ un disco adattissimo per pensare a sé stessi, per camminare senza meta, per fare pace con il mondo, o per assentarsi da esso, se necessario. Il gruppo è stato abilissimo nel distillare un “non-genere”, una proposta difficilmente assimilabile ad altri gruppi. In ordine sparso le influenze vanno dal dream pop al post rock, dallo shoegaze al post black metal, dal postpunk con riverberi darkwave all’emocore. Un momento percepisci gli I Love You but I’ve chosen Darkness, un attimo dopo i Thursday o certe esplosioni tipiche degli Envy. Poi arriva una folata di vento gelido e sopraggiunge Clouds Collide con tutta la sua carica emotiva unita al post black metal; ma c’è della dolcezza in questa malinconia, ci sono il dream pop e lo shoegaze degli ultimi Klimt 1918 a mitigare il gelo con tiepide e rassicuranti carezze di calore. Assenza di un genere musicale, ma non di intenti: i Nostri sanno dove vogliono andare a parare, ti entrano dritti nel petto, il basso pulsante si sostituisce al tuo cuore, i riff di chitarra fluiscono come sangue nelle tue vene, e i muscoli si contraggono ogni volta che lo scream ti sferza. E’, come detto, un disco perfetto per questo momento dell’anno, travolgente se si stanno vivendo momenti della propria vita in cui i fantasmi giocano a nascondino con i propri ricordi, un album intimo ma allo stesso tempo adatto a tutti.
In tutta questa assenza c’è una certezza, una presenza sicura: abbiamo tra le mani una vera e propria gemma, non lasciatevela sfuggire.

Drag Me into the Woods

https://www.debaser.it/holy-fawn/death-spells/recensione


venerdì 9 novembre 2018

Le cose che non ti ho mai chiesto/1



Diamo sempre per scontato di avere tempo per fare una domanda, per chiarire un dubbio, per parlare con una persona. Poi la persona sparisce, e tante cose che avresti voluto chiedere rimangono lì, sospese.

Cosa c'era alla Tognazza al posto del bar?

Anche a te quando frenavi la vespa faceva quel rumore strano? E ti ricordavi di averla truccata, che la marmitta non era quella originale? E ci sei mai caduto?

Cosa pensavi di me? Avrei potuto essere un figlio migliore, più affettuoso magari? Ti ho dato qualche soddisfazione? E quali delusioni ti ho dato?

Avrei voluto imparare di più da te: perché da "grande" non ho mai perso tempo dietro al tuo lavoro? Anche solo per imparare qualcosina in più di pratico.

Che musica ti piaceva ascoltare da giovane? Sai che sto cercando di recuperare tutte le tue passioni, così da farti rivivere con loro?

Cosa pensavi della musica che ascolto? E in generale delle mie passioni?

Come mai avevo quella faccia scazzifottita nella foto che mi facesti a casa di nonna, in terrazzo? Di che parlavamo?

Ti ricordi quando alle medie, in una delle giratine che facevamo in macchina la sera, mi davi consigli su come comportarmi con Ambra? Chissà che cosa mi hai detto!

E quando andammo a comprare l'impermeabile giallo? O quando litigai con nonna, e la sera mi portasti in giro per spiegarmi che quanto avevo fatto era sbagliato... Eppoi mi comprasti un giocattolino, perché in fondo non sei mai riuscito a stare arrabbiato con me.

Oggi è un anno, e le domande che avrei voluto farti sono ancora tante. Scusami se non sono stato il miglior figlio del mondo, sto provando a recuperare adesso, ti sto parlando, forse più di quanto non abbia mai fatto. E so che alla fine mi avrai già perdonato, perché mi hai sempre perdonato.

"Now the years are rolling by me
They are rockin' evenly
I am older than I once was
And younger than I'll be and that's not unusual.
No it isn't strange After changes upon changes
We are more or less the same
After changes we are more or less the same"