Camminare sotto la neve che fiocca non comunica sempre le stesse sensazioni. Molto dipende da come essa cade, con quale inclinazione e intensità, se ti da fastidio oppure no, se tira vento oppure precipita leggera come cotone che cade dal peluche di un bambino troppo maldestro per giocare con le cose senza romperle. Eppoi c’è il tuo stato d’animo, il morale, il
mood che hai nel momento in cui ti incammini, se hai fretta o se vai con calma, se cammini con un obbiettivo o se semplicemente cammini per pensare. Una colonna sonora sufficientemente in tema con i tuoi pensieri e con le condizioni climatiche può infine trasformare una normale sessione di ascolto in un’esperienza vera e propria, può farti sentire un brivido lungo la schiena e farti vedere quasi le tessere del puzzle che si incastrano magicamente, le une con le altre, senza sforzo.
Fioccava abbastanza copiosamente quando F. decise di uscire a fare due passi, in quell’ora scarsa che gli era rimasta prima di iniziare nuovamente a lavorare. Aveva un ombrello ma non lo prese: non gli importava di bagnarsi, e in fondo aveva visto dalla finestra che la neve, seppur abbondante, non aveva quasi consistenza, sembrava più polvere data in pasto al vento, per cui era certo che, al suo ritorno, sarebbe stato forse un po’ infreddolito, ma di certo non bagnato fradicio. Tiratosi su il cappuccio, mani in tasca e cuffie nelle orecchie, affondò i primi passi nella strada resa scricchiolante da almeno due strati di nevicate. Guardò poco di fronte: la neve, cadendo, formava una sorta di cortina apparentemente invalicabile, un tessuto nato dall’intrecciarsi di fili aventi principalmente due direzioni diverse (detto in maniera elementare, dall’alto/sinistra al basso/destra e viceversa), con qualche “filamento” che veniva sospinto anche in sua direzione. La bianca tenda pareva farsi ora più fitta,ora più smagliata, a seconda di come il vento decideva di trasportare i cristalli ghiacciati: la cosa bella era che nessun fiocco toccava la sua fronte o le sue guance, come se un’immateriale scudo lo proteggesse dall’impatto con i fiocchi, e la cosa era strana, dato che se ne stava proprio nel bel mezzo della bufera, nel pieno del suo crescendo. La nevicata lo accoglieva ma non lo infastidiva, si sentiva spettatore di un’opera che si stava compiendo, e che si sarebbe realizzata anche se lui non ci fosse stato. Anche sui pantaloni o sul cappotto non sembrava aderire, cadendo giù come se non facesse alcuna presa.
La musica che aveva scelto per accompagnarlo in queste sue riflessioni, in questa sua breve camminata, era solo apparentemente caotica e feroce. Lo faceva pensare a lupi solitari in fredde vallate ferite da gelidi venti, gli ricordava riti magici, falò accesi, strane rune, ritmi tribali, il clangore di armi, la passione, il sangue, la disperazione e le battaglie dei tempi andati. I suoi ritmi ondivaghi e ipnotici ben si adattavano alle ondate successive di neve che attraversava passo dopo passo, le parentesi acustiche si sovrapponevano magicamente al suono dei suoi passi sul terreno scricchiolante, mentre il ferale scream pareva la voce del vento o l’urlo dei fiocchi che esso portava con sé. F. aveva già sentito album del genere, conosceva perfettamente le influenze che avevano permesso al gruppo di comporre quei pezzi, e probabilmente con un ascolto diverso, casalingo magari, avrebbe concluso che forse quello che stava ascoltando era solo una copia, anche se ben fatta, di quanto aveva avuto modo di sentire in passato. Ciò nonostante si rendeva conto di essere in uno di quei momenti di stasi perfetta, in cui tutto aveva un senso compiuto, e di essere riuscito a raggiungere il senso (o almeno il senso che lui sentiva di attribuire) di quel disco, la sua perfetta collocazione spazio-temporali, e, al di là di giudizi qualitativi più o meno buoni, sapeva che quel lavoro, in quel contesto e con quelle caratteristiche, suonava da dio, e probabilmente un disco analogo non gli avrebbe comunicato le stesse sensazioni. Concluso ciò F. decise che la sua camminata aveva raggiunto l’obbiettivo desiderato, e con un sorriso tranquillo e una sensazione di pace se ne tornò in ufficio.
Gli Abigail Williams sono una giovane band USA un po’ ruffiana, pronta a cavalcare le “mode” del metal estremo. Partiti da territori metalcore, con questo ultimo parto chiamato “Becoming” i Nostri hanno visto bene di seguire le tracce dei Wolves In The Throne Room, degli Agalloch più feroci, e in generale di tutti quei gruppi che si rifanno alla recente scuola di black metal americano, con le sue commistioni folk, le sue parentesi atmosferiche, i suoi riff ciclici e ipnotici e le sue atmosfere fredde e ancestrali. E per quanto mi riguarda hanno svolto il compito in maniera quasi impeccabile, e se si sono macchiati di scopiazzature al limite del plagio (certi crescendo scaturiti da quiete quasi “mistica” sembrano estratti di sana pianta da un “Celestial Lineage”) sinceramente non mi interessa, se il risultato finale suona così dannatamente bene. Non è necessario entrare nel dettaglio dello stile con cui questa band affronta i vari pezzi: di fatto se si conoscono i gruppi sopra citati i tratti musicali dei Nostri non abbisognano di ulteriori dettagli, quindi (post) black metal imbastardito però da momenti al limite del gothic o del doom (entrambi di scuola inglese). Immagino inoltre che gli Abigail Williams verranno accusati di essere privi di originalità e non in possesso di un songwriting particolarmente vario o in grado di distaccarli dalla massa. Per quanto mi riguarda non credo che queste accuse siano totalmente fondate: riconosco la “ruffianeria” di questi ragazzi, ammetto di aver avuto più volte sensazioni di “già sentito”, ma ritengo che si debba guardare oltre, e ascoltare “Becoming” con una mente sgombra da pregiudizi. Facendo ciò risulterà chiaro che il lavoro creato da questi ragazzi non si limita a copiare interamente quanto fatto da altre band più rinomate, è qualcosa di più raffinato che si basa sì sul prendere ma anche sul rielaborare e sull’arricchire: in parole povere, non inventano nulla ma, prendendo da più parti e lavorando molto sulle commistioni e sulle sfumature, sanno comunque dare alla luce qualcosa che, a un orecchi attento, può sì rimandare a più fonti, ma di certo non può non sorprendere per la qualità con cui è stato creato. Solo facendo proprio un punto di vista come questo sarà possibile apprezzare la bontà e la caratura del disco, facendosi letteralmente strappare alla realtà da brani sontuosi come “Ascension Sickness”, “Radiance” o “Beyond The Veil”, momenti questi che, anche da soli, valgono l’acquisto dell’album. Gruppo quindi da non sottovalutare ma da ascoltare con attenzione.