La borsa degli attrezzi è grande, robusta, apparentemente indistruttibile: ci sono sì dei graffi e delle ammaccature al suo esterno, ma la dura corazza ha retto gli urti del tempo e protetto tutto il prezioso contenuto.
Quando la apri senti un odore strano eppure ormai tipico e unico, per sempre associato a quella sola borsa: un odore di plastica, di silicone sigillante, di fumo, misto a profumo (sicuramente ci sarà stata inavvertitamente rovesciata qualche boccetta di profumo, altrimenti non si spiega!). Quell'odore ti porta subito alla mente tutte le volte che, da piccolo, hai aperto la borsa per giocare e familiarizzare con gli strumenti che conteneva: cacciaviti di ogni forma e dimensione, martello, chiodi, pinze, tester, e altri aggeggi dei quali da piccolo ignoravi l'uso ma che ti piaceva lo stesso maneggiare, ti facevano sentire grande, ti davano un posto nella società rispettabile degli adulti. Poi la richiudevi, e immancabile sentivi alle tue spalle una voce che ti ricordava che "gli attrezzi si rimettono al loro posto quando si è finito di usarli...": e allora la riaprivi, e pazientemente, ma sempre per gioco, rimettevi tutto in ordine.
Era bello d'estate accompagnarti e farti da "portaborse", aiutarti a portare la borsa e passarti via via i vari attrezzi man mano che ti servivano, e anche se era pesante non importava, era pur sempre una soddisfazione. La portavo con due mani, la abbracciavo orgoglioso.
Col tempo le strade si sono separate, come è giusto che sia: la borsa degli attrezzi è rimasta con te, eppure quando mi sono trasferito di casa hai voluto passarmene una parte, mi hai fatto la "mia" valigetta con tutti gli attrezzi che conoscevo, un po' come si fa con i bambini piccoli, quando compri loro il martello e le pinze di plastica così possono giocare ad imitare il babbo artigiano. E il bello è che l'ho usata, perché alla fine il sangue è quello, c'è poco da fare: non l'ho usata come te, ma avrò tempo.
Stanotte in sogno ho di nuovo portato la borsa degli attrezzi: grande, pesante, la abbracciavo e la portavo con due mani nonostante i miei trentacinque anni, e ti accompagnavo per andare a fare una delle tue solite riparazioni. Guidavamo la mia macchina per una strada di montagna, io, passeggero, vedevo lo strapiombo alla mia destra e la parete rocciosa a sinistra. Non riuscivo a vedere la strada che percorrevamo, sembrava un lembo di terra sospeso per aria, ma tu mi dicevi tranquillo che non sempre riusciamo a vedere la strada che percorriamo, eppure andiamo avanti. Mi tranquillizzavano queste parole, e allo stesso tempo mi chiedevo se sapevi di non essere veramente lì, se sapevi di essertene andato alcuni mesi fa.
Non so quando e se sarò pronto a camminare da solo, di certo speravo di aver avuto più tempo, e con il senno di poi avrei voluto usare meglio i momenti passati assieme. C'è però una frase che finora mi ha sempre sostenuto: "You are mortal: it is the mortal way. You attend the funeral, you bid the dead farewell. You grieve. Then you continue with your life. And at times the fact of her absence will hit you like a blow to the chest, and you will weep. But this will happen less and less as time goes on. She is dead. You are alive. So live."
Tratte da "Sandman" di Neil Gaiman, sono le parole che Sogno dice a suo figlio Orfeo, che ha appena perso Euridice: il "so live" alla fine ha una tale forza, un tale "élan vital" che ti fa capire quanto sia necessario che la vita prevalga sulla morte, sempre. Ma non scordiamoci mai chi siamo, non dimentichiamoci mai cosa ci ha reso ciò che siamo, non dimentichiamoci mai di quella cassetta degli attrezzi, che oltre agli utensili contiene anche i ricordi di un bambino dall'infanzia, ora ne sono certo, rosea e felice.
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