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martedì 19 dicembre 2017

2017: a (metal) retrospective

Il mio 2017 musicale è stato un anno di vacche non magre, magrissime: veramente pochi sono stati i dischi usciti in questo anno che si sta per chiudere che mi hanno veramente lasciato qualcosa. Una precisazione è però dovuta: forse per controbilanciare questa pochezza ho avuto l'opportunità di scoprire album usciti anche qualche anno fa di band a me più o meno conosciute, quindi alla fine il bilancio non può dirsi così pessimo, almeno in generale.

Sono stati dodici mesi di delusioni: band che aspettavo con impazienza (vedi più sotto) hanno poi rilasciato dischi tiepidini, che non hanno soddisfatto del tutto l'hype che avevo riposto in loro. Bando alle ciance, questi gli album usciti nel 2017 che mi hanno colpito:



L-XIII - "Obsidian"
Uscito agli inizi del 2017 "Obsidian" è il parto di Neil DeRosa, uno dei due membri degli americani (di Salem, New England) 1476, qui nelle vesti di mastermind del proprio progetto solista L-XIII. Si tratta di un lavoro interamente strumentale, che sa immergere l'ascoltatore in un'atmosfera rarefatta, magica, misteriosa e evocativa. Synth, drone, passaggi atmosferici che flirtano con il Dark ambient più sofisticato ed etereo, una larga presenza del piano, addirittura elementi assimilabili al trip hop più notturno e urbano, fanno di questo "Obsidian" un EP interessante e affascinante. E' forse un po' troppo corto (alla fin fine è pur sempre un EP), ma può costituire sia un ottimo antipasto per possibili uscite future a firma L-XIII: insomma, è da provare, meglio se in un momento in cui avete bisogno di un po' di pace e tranquillità.


Pagina Bandcamp di L-XIII



1476 - "Our Season Draws Near"

Pubblicato in primavera il disco del duo del New England è però strettamente collegato con l'inverno, come ben si evince sin dalla sua copertina. Il nuovo lavoro ha un mood più solenne ed epico rispetto alle precedenti uscite, sebbene siano comunque presenti molti rimandi a "Wildwood". La ricetta dei Nostri presenta sempre gli stessi ingredienti già usati in passato, ma le dosi sono diverse: sfuriate al limite del (post) punk e dark metal con rallentamenti e fasi introspettive tipiche del folk più oscuro e quasi tribale. Riconosco che si è trattato di un lavoro meno immediato dei precedenti, ci ho messo alcuni mesi a farlo mio ma alla fine mi ha conquistato, come già successo con i precedenti lavori. Una band assolutamente da non perdere di vista.


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Amenra - "Mass VI"

Il 2017 ha visto il ritorno sulle scene degli Amenra... e che ritorno!

"Mass VI" si caratterizza sin da subito come, con ogni probabilità, il loro lavoro meglio riuscito, con un perfetto bilanciamento tra dolore, sofferenza, pazzia e malinconia, che musicalmente parlando si traducono in scream furiosi e dolenti, clean caldo e avvolgente, chitarre corpose e robuste e una sessione ritmica che sorregge il tutto con influenze, a mio avviso, mutuate dal mondo post rock e wave. Il disco, forse un po' breve, avanza doloroso e incessante, sbaragliando ogni difesa con "A Solitary Reign", uno tra i più bei pezzi mai scritti dagli Amenra (ma attenzione, anche il finale del lavoro non è da meno!).

Sebbene le soluzioni siano in larga misura sempre le stesse, al punto da poter ormai prevedere la possibile evoluzione di una traccia, c'è comunque una velata evoluzione nascosta in queste tracce, una voglia di toccare ancora più nel profondo il cuore degli ascoltatori. Disco che sin dalla sua uscita si è ritagliato un posto nella mia classifica dei top album del 2017.


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Dawn Ray'd - "The Unlawful Assembly"

Inaspettata sorpresa sul finire del 2017, gli inglesi Dawn Ray'd si sono conquistati un posto fisso nel mio stereo per diversi giorni. Per me si tratta di una vecchia conoscenza, parte della band già militava nei We Came out like Tigers, gruppo dalle sonorità blackcore caratterizzato da un animo "anarco-green" e da sonorità allo stesso tempo ferali e malinconiche (merito dell'uso del violino, in grado di donare ai pezzi un piglio spesso evocativo e poetico). Con il loro debutto "The Unlawful Assembly" i Nostri recuperano gli elementi già sentiti nella precedente incarnazione, ma introducono anche una componente politica di rivolta e protesta che dona al tutto un incedere epico, titanico e feroce. Gran bella band, spero di sentir parlare ancora positivamente di loro il prossimo anno!


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...e veniamo alle tirate di orecchie. I Wiegedood con "De Doden Hebben Het Goed II" non bissano il successo del precedente lavoro, cercando da una parte di ispirarsi alla scuola old school black metal, in parte scansando momentaneamente certe sezioni più rituali e "esoteriche" che avevano caratterizzato il predecessore. Ci regalano un lavoro violento e martellante, ma spesso senza una verve in grado di staccarlo dal resto. Stesso discorso può essere fatto per gli Harakiri for the Sky, che cercano di restare sull'onda del successo ottenuto con "Aokigahara" riuscendoci solo in parte. I Nostri svolgono il compitino con "III: Trauma", ma nulla più: sono sempre presenti i continui saliscendi emotivi, con melodia e potenza che si alternano in egual misura, ma alla lunga il tutto non colpisce, se non per episodi.

Seguono a ruota i Moonspell con il loro "1755", lavoro cantato totalmente in portoghese e dedicato al terremoto che mise in ginocchio Lisbona. Si tratta di un disco tirato e potente, con un Fernando Ribeiro sugli scudi che ringhia forse però anche troppo, risultando alla lunga monocorde. A fronte di brani notevoli e da un fortissimo appeal emotivo si hanno anche pezzi un po' scialbi, e su tutto un fare un po' troppo barocco, con cori, tastiere ed arrangiamenti ampollosi che snaturano una proposta che avrebbe dovuto essere più sanguigna. Alla fine non è un brutto disco sia chiaro, ma non sarà sicuramente ricordato nella discografia dei Nostri, se non per il fatto della componente linguistica.

Chiudo con quella che è stata la delusione più cocente dell'anno, "Thrice Woven" dei Wolves in the Throne Room. Dopo "Celestite" avevo perso ogni speranza, e sapere che sarebbero tornati alle origini con un nuovo lavoro mi aveva animato di grandissime aspettative, in larga misura poi deluse. E' un lavoro che molti gruppi Cascadian e black in generale si sognerebbero di fare, questo è vero, ma non del solo nome si può campare. Ci sono due, tre pezzi oggettivamente esagerati, che fanno riassaporare i vecchi WITTR, ma ce ne sono altrettanti tiepidi e tutto sommato trascurabili. Tanto valeva fare un EP per tenere tranquilli i fan e allo stesso tempo asfaltare le masse con il suono potente ed evocativo che li ha sempre caratterizzati, ma messo così sembra un po' un non finito, qualcosa di affrettato buttato in pasto alle masse per far tacere le lamentele. E' però il ritorno sulle scene dei WITTR, e ciò mi basta, nella speranza che il futuro sia nuovamente roseo per i Nostri... Nel frattempo rimetto su "Two Hunters"!

Vi lascio con un appunto personale. Questo 2017 mi ha permesso di stringere amicizie (spero durature!) con artisti che apprezzo e che stimo molto, i cui lavori rientrano ormai da tempo tra i miei dischi preferiti, album che ogni tanto sento la necessità di riascoltare. Un enorme grazie quindi va a Matteo (Chiral), Robb e Neil (Monastery, L-XIII e, insieme, 1476): tutte persone squisite dotate di grande senso artistico e di una sensibilità (anche nei rapporti umani) davvero fuori dal comune.

Per questo 2017 direi che è tutto: a questo punto posso solo augurarmi che il 2018 sia migliore, alla fine non ci vorrà tantissimo!

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