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giovedì 22 dicembre 2016

2016: a (metal) retrospective

Le miti giornate di questo dicembre non mi hanno fatto dimenticare che ci stiamo avvicinando alla chiusura dell'anno, e che quindi si tirano un po' le somme di questo 2016 musicale.
Sono stati 365 giorni piuttosto intensi, che mi hanno regalato diversi spunti interessanti, mi hanno fatto conoscere nuove ottime band ma, come di consueto, hanno portato nella calza natalizia anche un po' di carbone, qualche delusione che però non mina un bottino decisamente ricco.



1476 - "Wildwood/The Nightside"
Si tratta in realtà di una reissue, che però ha avuto il merito di mettere finalmente in luce il duo del New England. I 1476 propongono un suono che spazia dal folk apocalittico al post punk, dal gothic ottantiano al post rock, con un generale gusto per la malinconia e la melodia che collega tra loro i vari brani. La Prophecy Prod. ha messo sotto contratto il gruppo e, in attesa del nuovo lavoro, ha deciso di riproporre tutto il loro catalogo. Si tratta di un disco evocativo, autunnalee permeato delle immagini, dei profumi e dei ricordi radicati nei loro luoghi di origine. Per quanto mi riguarda si tratta della sorpresa più bella dell'anno.



Ashbringer - "Yugen"
Nick e il suo progetto Ashbringer (ora un vero e proprio gruppo) si conferma astro nascente della scena black atmosferica made in USA. Nel suo secondo lavoro Nick aggiusta un po' alcune sbavature presenti nel precedente "Vacant", dona al tutto una produzione spettacolare impreziosita da un innato senso melodico e ci regala un disco con i fiocchi, in cui ogni singolo brano è da ascoltare più e più volte. La troppa carne al fuoco che evidenziavo come essere un difetto nel disco precedente si è adesso trasformata in un banchetto tarato perfettamente sull'ascoltatore: lontano dall'essere barocca o all'opposto scarna e raw, la proposta degli Ashbringer è evocativa e carica di pathos, e assieme al sopra descritto lavoro dei 1476 mi ha accompagnato per buona parte dell'autunno.



Alcest - "Kodama"
Checché ne dica la gente, Neige sa fare musica. Ha avuto un calo, vero, ha preso una cantonata in un paio di album, ma con questo "Kodama" ha dato una risposta concreta a chi lo dava per spacciato. Monsieur ha ritirato fuori il suo scream, ha riappesantito un po' le trame, e ha tirato fuori un disco che pochi secondo me si aspettavano. Non che sia eccezionale, capiamoci subito: se paragonato a un "Souvenirs..." perde il confronto. Quello che lo rende meritevole di stare nella lista sta però nel fatto che, con naturalezza, Neige ha fatto capire a tutti che c'è ancora, e che, se vuole, sa ancora regalare intense emozioni con la sua musica. Sinceramente non so se nel prossimo lavoro continuerà con la sua opera di ritorno alle origini, ma per quanto mi riguarda se anche restasse così com'è sarei contento. Alla fine non mi aspetto molto di più da lui, deve solo fare quello che sa fare bene, emozionare.



Chiral - "Gazieng Light Eternity"
Dietro il monicker Chiral si nasconde il talentuoso Teo, polistrumentista piacentino autore con questo "Gazing Light Eternity" del suo secondo full. Chiral propone un black metal atmosferico ossessivo, dilaniante nella sua ripetitività, figlio dei vari Lustre e della scena depressive australiana. Non mancano i riferimenti al timor panico cascadiano, che emerge sia nei paesaggi bucolici ed arcani tratteggiati dalla sua musica che negli inserti più folk-oriented, dove prende il sopravvento l'amore per la chitarra acustica e per le trame neo folk tanto care, ad esempio, agli Agalloch. Si tratta di una realtà musicale del panorama black nostrano da tenere sicuramente d'occhio, e che potrebbe regalare ulteriori sorprese in futuro, anche in termini di evoluzioni stilistiche.



Cult of Luna & Julie Christmas - "Mariner"
Da una parte il combo svedese, che prima si era sciolto, poi era in pausa di riflessione, poi era di nuovo un gruppo; dall'altra la signorina Christmas, già nei Made Out Babies e Battle of Mice (non nuova al post metal dunque), una gattina che di colpo sa trasformarsi in una tigre e sbranarti mentre te sei ancora lì inebetito dalla sua voce da ragazzina che avevi sentito pochi secondi prima... Dall'unione di queste entità sbuca dal nulla "Mariner", una botta di post metal con tutti i crismi. Si tratta dell'unione perfetta delle due anime, c'è poco da fare: se si conoscono le strutture dei Cult of Luna non avrete difficoltà ad immaginarvi l'impianto di questo disco, ma la vera sorpresa è il modo magico in cui la voce di Julie si innesta sulle strutture degli svedesi. Sembrano suonare assieme da sempre, con una naturalezza tale che ti lascia inebetito, e alla fine del lavoro non puoi non cominciare un nuovo ascolto e un nuovo viaggio.



Esben and the Witch - "Older Terrors"
Gli EATW sono un trio di Brighton fautore di una miscela musicale strana e straniante, in cui si mischiano dream pop, post punk e gothic vecchia maniera, post rock, ritualismo e cantautorato. Le quattro lunghe tracce di questo nuovo lavoro costruiscono un viaggio negli incubi: si parla per loro di nightmare pop, e questa definizione calza a pennello. E' come se ci trasportassero nelle fiabe che ci raccontavano da piccoli, solo che il finale non è mai bello come ce lo ricordiamo, le foreste sono sempre oscure e umide, popolate da spettri, streghe e mostri, e la luce difficilmente vince. La voce di Rachel ci guida con mano tremante attraverso questi boschi, è una mano fredda, che ogni tanto ci scivola, scompare, e allora corriamo per raggiungerla nuovamente, per non perdere questo unico appiglio senza il quale saremmo smarriti come bambini abbandonati.
Gli EATW creano un mondo magico e tenebroso, ma al tempo stesso accogliente: queste quattro tracce hanno un incedere lento, hanno bisogno di crescere e maturare in intensità per sprigionare tutto il loro potenziale, ma l'attesa ipnotica e snervante sarà ripagata da un album dalla grande potenza evocativa.



Sedna - "Eterno"
Altra sorpresona del panorama nostrano, i Sedna sono un trio cesenate al secondo full. Se il primo lavoro aveva impressionato per la forza e l'atmosfera messe in gioco, pur mostrando però ancora qualche limite, con questo "Eterno" i Nostri spazzano via ogni perplessità. Si parla di un post metal che trae linfa vitale ora dal black metal, ora dal post rock, ora addirittura dalla psichedelia: le carte si mischiano continuamente ed è splendido perdersi in queste quattro lunghe tracce: un mare scurissimo di pece nera avvolge l'ascoltatore, lo isola da tutto e nasconde ogni fonte di luce, per un viaggio lungo e catartico.

https://sednablack.bandcamp.com/album/eterno


Downfall of Gaia - "Atrophy"
Non mi ero mai avvicinato prima ai DoG, non so perché, ma l'ascolto del nuovo "Atrophy" mi ha fatto capire che forse ho commesso un errore. I tedeschi propongono un incrocio ben riuscito tra crust, black e post metal, un prodotto che molto mi ricorda i Fall of Efrafa nelle atmosfere plumbee e disperate, e gli americani Sadhaka nella voce furiosa e rantolante. Merito forse della durata contenuta di questo lavoro, che rende i vari pezzi più fruibili nonostante il genere sia spesso una bella mattonata da digerire. Si tratta alla fine di una bella sorpresa, ma mi rendo conto che sia un giudizio quanto mai soggettivo, non avendo mai ascoltato niente dei loro precedenti lavori; ciò nonostante, una bella e per quanto possibile piacevole badilata sonora nei denti.



John, the Void - "II"
Oscuri come la loro proposta musicale, i friulani John, the Void sono entrati nel mio radar musicale all'improvviso, e mi hanno lasciato basito. Avevo sentito parlare di loro, complice forse l'EP di un paio di anni fa, ma non avevo dato molto peso a quei pezzi, forse perché concentrato su altre uscite... Ma stavolta non si può non accorgersi dell'imponente muro sonoro e dell'atmosfera che innalzano con queste cinque lunghe tracce. Proprio una forse eccessiva prolissità mina un po' questo full, ma è davvero l'unico difetto che sono riuscito a trovarci; tutto il resto è un post (black) metal oscuro, nero come la pece, lento e asfissiante nel suo incedere neanche troppo vagamente reminiscente dei migliori Cult of Luna. Altro colpo per la nostrana Drown Within Records, che dopo i Sedna ci regala un altro interessantissimo gruppo confermandosi etichetta di riferimento per il panorama post italico (almeno per quello più oscuro e underground).



Klimt 1918 - "Sentimentale Jugend"
Otto anni, otto anni fatti di promesse, smentite, voci insistenti... Ci sono voluti otto lunghi anni ai romani Klimt 1918 per dare un seguito a "Just in Case We'll Never Meet Again", disco a mio giudizio un po' deboluccio, ma accettato di buon grado essendo anche quello figlio di un'attesa di qualche annetto. Stavolta i Nostri strafanno con un doppio album, acquistabile sia separatamente ("Sentimentale" e "Jugend") sia in blocco unico.
La proposta dei Klimt ha conservato la sua estetica elegante e vagamente vintage, con un sound che vede tra i suoi numi tutelari lo shoegaze, il post rock e il post punk, ma sarebbe un errore vedere nei Nostri un clone mal riuscito di altri gruppi (Slowdive per esempio). I Klimt 1918 hanno una loro identità che affonda in una Roma nostalgica, malinconica, legata da un lato ai suoi antichi fasti, dall'altro alla sua attuale condizione, specchio di un'Italia un po' in crisi di identità. "Sentimentale Jugend" è un lavoro invernale, nebbioso e freddo, perfetto per giornate in cui non vuoi uscire e vuoi solo mettere il disco nello stereo, premere "play" e affogare nei tuoi ricordi.
Personalmente ci trovo molti punti di contatto con quello che per me risulta ancora essere il loro apice, quell'"Undressed Momento" che ancora oggi annovero tra i miei dischi preferiti in assoluto, somiglianze in quel forte alone nostalgico che permea ogni pezzo, e che ti fa sentire i Klimt vicini, amici, persone fidate alle quali puoi raccontare tutto. Ho solo una paura, che questo possa essere il loro canto del cigno. Se così fosse va bene ragazzi, alla fine ci avete lasciato un disco esagerato, ma il dispiacere sarebbe innegabilmente tanto.


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