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venerdì 18 maggio 2012

L'ulivo



Stanotte ero di nuovo a casa vecchia. Tutto era come lo avevo lasciato, più o meno, stessi mobili, stesso arredamento, stesse tende. L’odore, il profumo, era lo stesso, quella mistura dalla fragranza primaverile emanata da un erogatore attaccato alla presa di corrente
Se non sbaglio era notte: non ne sono certo al cento per cento, ma ricordo che ero lì per montare le decorazioni natalizie, e che qualcuno apriva la finestra, e che io con la coda dell’occhio intravedevo il buio dei campi, qualche luce in lontananza, e sentivo nell’aria l’odore di legna bruciata. Le decorazioni di Natale, dicevo.
L’albero era lì, al posto solito, addobbato come lo avevo sempre addobbato io, ma la mia attenzione era focalizzata sul grumo da strigare di lucine natalizie. Ricordo ancora la consistenza del cavo verde, spesso, avvolticciolato su se stesso, e ricordo l’odore della plastica che emanavano le lampadine stesse. Cercavo una prolunga ricordo, perché dovevo metterle in terrazza, attaccate alla ringhiera, ma il filo non era abbastanza lungo. Avevo paura che la finestra non si chiudesse, ma qualcuno che era lì, forse alle mie spalle, mi diceva di fare come facevano i miei genitori a casa loro, in quel modo il filo non avrebbe impedito la chiusura della finestra. “Il vicino non ha lucine” pensavo… Pazienza, tanto sono dei tristoni, le mie faranno luce anche per loro.
Per fissarle fuori avevo bisogno di alcuni attrezzi: la mia cassetta rossa dove li tengo era rimasta in macchina, per cui dovevo fare con quel che c’era. “Apri il mobile”, mi diceva la solita voce. E lì, dove io di solito tenevo piatti e bicchieri, c’erano ora tanti attrezzi perfettamente ordinati, disposti sia dentro il mobile stesso che attaccati allo sportello. Prendevo le fascette, le forbici, e mi soffermavo sulle chiavi inglesi: non che mi servissero. “Ti manca?” mi diceva la voce. “Molto”, rispondevo io. “Questi erano i suoi attrezzi…” “Lo so, mi ricordo.” E infatti ricordavo la cassetta da pesca azzurra che lui aveva convertito in cassetta degli attrezzi, ricordo quanto si chiudeva male, ricordo la mancanza cronica di qualcosa che dovevi sempre andare a reperire in qualche altra parte della casa. Io con quegli attrezzi ci giocavo di solito perché ero piccolo, andavo nel mobilino all’ingresso, lo aprivo, e un odore di chiuso, ma buono, investiva le mie narici.
Mi ricordo poco di lui purtroppo, solo flash, come quando gli facevo vedere i miei giocattoli in cucina, o come quando d’estate passai una notte in quella casa, così, “per andare in vacanza in campagna” come dicevo io… Come se casa dei miei fosse stata in città, e soprattutto, come se fosse stata lontana da lì… Un chilometro forse. Ma era la sensazione particolare che mi faceva stare in un altro mondo quasi.
Al tempo non davo importanza a questi momenti, ma fissando quegli attrezzi, quelle chiavi inglesi, tutto era riaffiorato vivido.
Mi manca quella casa, ma soprattutto mi manca lui. E il bello, ma anche il problema di tutto, è che la vita, volenti o nolenti, va avanti.

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