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venerdì 23 giugno 2017

Le Cattive Madri



Le montagne dell'Engadina si stagliano lontane, eppure se allunghi una mano riesci quasi a toccarle. La neve è soffice, deve aver smesso di nevicare da poco, e sebbene faccia freddo l'oro dell'alba imminente avvolge tutta la valle donandole quasi un calore innaturale. Giovanni vaga senza meta, alla ricerca semplicemente della pace e dell'ispirazione per un prossimo dipinto: un passo dopo l'altro non si accorge nemmeno dove sta andando, perso com'è nei suoi pensieri: non smarrirà la strada di casa, di questo ne è certo, conosce fin troppo bene quei posti. D'improvviso un anomalo scricchiolio lo distoglie dal suo rimuginare, e alzando lo sguardo si imbatte in una visione che ha dell'incredibile.
Perso nell'apparentemente infinita e fredda landa alpina c'è un albero, secco, scheletrico, che punta verso l'alto come se volesse strappare le sue stesse radici. Un prolungamento di un ramo si suddivide in migliaia di appendici, che come tentacoli avvolgono una donna fino al ventre, lasciandole libera solo la parte superiore del tronco. La donna, di una bellezza rara e impalpabile, ha una fluente capigliatura rossa tutta attorcigliata al tronco dell'albero, al punto che è difficile capire se si trattino di capelli o rametti; gli occhi sono chiusi ma non è morta, semplicemente giace come in uno stato di sonno. Il suo seno, scoperto, nutre la testa di un neonato, che spunta da un ramo come un fiore che sboccia dalla sua pianta.
Giovanni è pietrificato alla visione spettrale che gli si presenta di fronte agli occhi. Chi è la donna? Chi ha generato chi? C'è forse una punizione in tutto questo, si tratta forse di un castigo rivolto alle cattive madri? Forse è solo capitato in un momento intimo della Natura, un momento in cui Madre Natura, personificata in donna, nutre l'albero secco che sta rinascendo come un bambino, che si sta risvegliando dal freddo inverno. Giovanni non avrà mai la risposta a queste domande: come fa per avvicinarsi alla donna un raggio di sole, che proprio in quel momento stava sorgendo, lo acceca per un attimo: si stropiccia gli occhi, e come li riapre la donna è sparita, così come il bambino. L'albero è rimasto, quello sì, ma avvicinandosi si accorge che non è secco e scheletrico come gli era parso da lontano, ci sono dei piccolissimi boccioli sui suoi rami ossuti.
Dietro il monicker L-XIII si nasconde Neil DeRosa, uno dei due membri degli americani (di Salem, New England) 1476. Il progetto in questione rimanda, da un punto di vista squisitamente musicale, a "Edgar Allan Poe: A Life of Hope & Despair", lavoro a firma appunto del duo sopra menzionato e ispirato alla vita dell'autore. Il qui presente "Obsidian" prende spunto dalle stesse sonorità meste, pensive e vagamente oscure per spingersi verso una maggiore introspezione, quasi una sorta di rituale occulto interiore, una parentesi di pace nella quale, lontano dall'influenza di ciò che ti sta intorno, riesci a concentrarti su te stesso e a lavorare sulle tue necessità. Interamente strumentale, questo (ahimè) breve EP mette in luce (si fa per dire, vista l'oscurità che avvolge i vari pezzi!) le ottime capacità espressive e comunicative del Nostro, che sa immergere l'ascoltatore in un'atmosfera rarefatta, magica, misteriosa e evocativa. Synth, drone, passaggi atmosferici che flirtano con il Dark ambient più sofisticto ed etereo, una larga presenza del piano, addirittura elementi assimilabili al trip hop più notturno e urbano, fanno di questo "Obsidian" un lavoro interessante e affascinante. Come detto è forse un po' troppo corto (alla fin fine è pur sempre un EP), ma può costituire sia un ottimo antipasto per possibili uscite future a firma L-XIII, sia un preludio a quanto è possibile ascoltare nella già citata opera su E. A. Poe del duo 1476. Da provare, meglio se in un momento in cui avete bisogno di un po' di pace e tranquillità.

Pagina Bandcamp

https://www.debaser.it/l-xiii/obsidian/recensione

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