“E cosa hai fatto poi Chris?”
“Ho seguito il mio sogno, l'Alaska, ho viaggiato per chilometri e chilometri cercando di raggiungerla... Perché se davvero vuoi una cosa devi solo allungare la mano e prenderla! Questo mondo, questa società in cui viviamo, siamo tutti bestie strane, più abbiamo e più vogliamo, e io avevo tanto, ma ho deciso di buttare via tutto cercando qualcosa che mi riempisse cuore, polmoni e spirito, e mi regalasse un ricordo indelebile.”
“Ma come hai fatto a viaggiare, senza soldi...”
“Ah, i soldi, li ho bruciati dopo poche centinaia di chilometri, nel deserto del Mojave... Li ho lasciati lì assieme alla carcassa della mia fida Datsun, e mi sono incamminato, e ho fatto autostop, e ho dormito all'aperto... Ho conosciuto tante persone, alcune pazze scatenate, alcune sole seppur in compagnia... Mi sono quasi innamorato figurati, e ho perfino trovato una persona che avrei voluto chiamare padre, ma non mi sono mai fermato, non era quello che volevo... E ogni notte che mi trovavo a dormire in una casa pensavo che non era quello il soffitto che volevo per i miei sogni, era sì un passo avanti rispetto alla città dove sono nato e cresciuto, ma ancora ero lontano dal traguardo.”
“E alla fine sei arrivato in Alaska?”
“Oh sì che ci sono arrivato, e Dio solo sa come mi sono sentito! La felicità, quella vera, il cuore che esplode perché non riesce a contenere tutte quelle meraviglie, la comunione perfetta con la Natura, con gli animali, in un posto dove cielo e terra si abbracciano... Ero libero, ero anche solo sì, le notti erano lunghe e solitarie, ma avevo i miei libri, avevo il mio rifugio (avresti dovuto vederlo il Magic Bus, come lo chiamavo io, quel rottame di bus che mi ha accolto per notti e settimane intere!).
“E quindi come è andata, sei rimasto lì?”
“Beh alla fine non è andata come speravo... Ho scoperto che la troppa felicità uccide se non la si condivide, ho capito che forse avevo osato troppo, mi sono fregato con le mie mani diciamo, ho gettato al vento l'unica possibilità che avevo di nutrirmi durante un freddo inverno e mi sono praticamente condannato a morte mangiando delle piante velenose. Che io sia maledetto! Le avrò viste mille volte, come avrò fatto a sbagliarmi, se ancora ci penso mi mangio le mani...”
“Ma adesso dove sei Chris?”
“Ah sempre lì, nel bus! Sdraiato in terra, avvolto in un giaccone ormai grande il triplo della mia stazza, morto soffocato! Supertramp fino alla fine, ho deciso di morire con il sorriso sulle labbra, e diavolo se ci sono riuscito, anche se a quei poveri cacciatori che mi hanno trovato è sembrato più un ghigno... Oh ma sono stato bene eh, ho fatto quello che volevo, ho vissuto come volevo... Ora però scusami ma devo scappare, c'è ancora tanto da esplorare qui intorno... Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore. Addio e che Dio vi benedica!”
Figli naturali del Cascadian Black Metal, i canadesi Harrow (da Victoria, British Columbia) incarnano alla perfezione il prototipo ideale di musica che un gruppo che vuole etichettarsi come “cascadiano” (che cosa brutta ho scritto!) deve suonare. A dirla tutta definiscono il loro sound come “Atavistic Metal” ma non aggiungerei altre etichette bizzarre, anche se in effetti hanno davvero la capacità di connettere l'ascoltatore con mondi antichi dominati dalla Natura, luoghi in cui l'uomo era ancora una controfigura in uno spettacolo nel quale gli attori principali erano i miti, le leggende, gli animali, le stagioni ed il tempo.
Da un punto di vista musicale c'è poco da dire: chi ama il genere andrà letteralmente in un brodo di giuggiole. Trasportati dalla voce e dalle superbe linee chitarrristiche di Ian non si fa fatica a farsi ipnotizzare da questi quattro lunghi pezzi, nei quali ancestrali trame acustiche si intrecciano con feroci assalti black, pur sempre guidati da una melodia di fondo che rende il tutto estremamente fruibile e godibile, anche per chi magari non è avvezzo al black metal. Come ho poi avuto modo di dire anche in occasione dell'ultima uscita degli Alda, il post rock si dimostra ormai una base indispensabile nella costruzione di questi pezzi, se è vero che la parte da leone la costituiscono i vari climax emotivi che animano ogni singolo pezzo.
Questo “Fallow Fields” va preso a scatola chiusa, senza pensarci due volte: assieme a “Passage” degli Alda costituisce una splendida gemma di Cascadian Black Metal, a tratti superando addirittura iin pathos i “maestri” del genere. Non c'è altro da dire, bisogna solo correre ed immergersi al più presto in questa musica maestosa e sciamanica.
Fallow Fields
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