In alcune, rarissime volte, le cose non sono solo materiali, ma trasudano una carica emotiva incredibile, che pare smaterializzarle e renderle più vicine ad un'idea. Così un disco, una scatoletta di plastica con dentro un libriccino ed un cerchietto argenteo sul quale sono state registrate quasi venti (madonna, venti, se ci penso mi prende male) anni fa dieci canzoni, nel momento in cui lo stringi tra le mani non è più un semplice album, diviene impalpabile, incarna tutta l'attesa che hai vissuto nel cercarlo, pazientemente, per più di dieci anni (era infatti il 2002/2003 forse quando entrai in contatto per la prima volta con suddetto lavoro), si trasforma insomma in pura emozione. E quando poi è assolutamente nuovo, la confezione mai scartata da nessuno, come se fosse appena uscito da un negozio, la sensazione di aver raggiunto un traguardo importantissimo, la soddisfazione che ti trasmette quel piccolo oggetto, tutto questo aumenta a dismisura.
Come un bambino piccolo la sera di Natale ti senti in fibrillazione, entusiasta di quell'acquisto, e anche se in realtà già conosci a mente quelle canzoni perché le possiedi già in MP3, nel momento in cui inserisci il CD nel lettore è come se suonassero nuove, diverse. E mentre sul disco la pioggia scorre e l'eleganza e la tristezza si fanno musica sfogli il booklet, e ti colpisce subito l'adesivo SIAE vecchio, di quelli bianchi bordati di rosso, ora sostituiti da quelli argentati: quant'era che non ne vedevi uno in un disco ancora incellophanato, che non fosse già tuo o non fosse già passato dalle mani di qualcuno! Quell'adesivo aumenta l'epicità della tua conquista, recando il nome di un'etichetta che sai essere non più attiva e che conoscevi proprio per quell'album, e riportando anche la sigla "Orlando C.", componente del gruppo nonché persona registrata "all'anagrafe" SIAE. Sfogli il booklet dicevo, e con avidità scorri i testi delle canzoni ed i ringraziamenti, che sembrano così naif, scritti da ragazzi che al tempo saranno stati, forse, ventenni, ignari del fatto che di lì a qualche anno avrebbero "rivaleggiato" musicalmente con le band che ringraziavano su quel libretto... Band che hanno condiviso il palco con loro, mostri sacri di una musica alla quale loro si sono avvicinati per poi impadronirsene, farla loro, e restituircela marchiata a fuoco dal loro stile, inconfondibile. Mi hanno chiesto che genere fosse... E chi lo sa! E loro forse lo sapevano? Credo che suonassero con il cuore, incuranti delle etichette: da bravi romani scazzoni credo se ne siano fregati di tutto e di tutti, buttando giù tutto ciò che il cuore comunicava loro. Nella loro storia, finanche in ogni loro singolo pezzo, sono passati dal doom al black al gothic al death al prog, con un fil rouge sempre ben presente, l'emotività. Hanno sempre saputo toccare il cuore dell'ascoltatore, ora con scream lancinanti, ora con un cantato tecnicamente imperfetto, ma incredibilmente adatto alla situazione: non ti sapresti immaginare una voce diversa su quei pezzi. Supportati da linee melodiche che sapevano passare dall'elegante e raffinato all'abrasivo e feroce, e da una sezione ritmica gestita da quello che credo sia il miglior batterista italiano in campo metal (e tra i migliori a livello mondiale), il Nostro era un gruppo perfetto, ancora in divenire su quel disco, ma con un futuro che si sarebbe fatto dorato di lì a poco. E quel senso di speranza, quella forza in divenire, è ben presente nel disco che tengo in mano adesso, anche se le emozioni che vuole comunicare con i suoi testi sono ben diversi. Un'atmosfera piovigginosa, uggiosa, da camera, perfettamente veicolata da quella foto in copertina e dall'incipit del primo brano...
Per queste e tante altre ragioni, anche più legate all'ambito tecnico (la qualità del suono e delle canzoni, il modo in cui sono state interpretate, ecc) questo disco è sempre stato per me una chimera, un lavoro che, sebbene come detto lo avessi ascoltato più e più volte, rimaneva ancora intangibile ed inafferrabile... E oggi ho capito perché, perché non vuole, almeno per me, essere un semplice disco, non chiede una materializzazione in qualcosa di tangibile, vuole rimanere un'idea, o meglio, un'emozione, perché sa che solo così potrà essere davvero legato a chi lo ascolta, solo così potrà essere sempre ricordato e soprattutto desiderato, e non abbandonato come alla fine accade per la maggior parte dei dischi.
Nota a margine: il disco in questione è "Arte Novecento" dei romani Novembre, che scoprii una sera su internet mentre cercavo su un forum di tablature per basso un qualche gruppo dai connotati generalmente "dark"... Mi furono indicati da qualcuno sicuramente non italiano, pensa tu che giro largo! Non riuscendo a recuperare in alcun modo il disco (al tempo i canali shopping online per me erano ancora perlopiù inesplorati) me lo feci scaricare da un amico, e stampai io stesso una copertina in bianco e nero, quella sì, fedele il più possibile all'originale. Il disco, edito dalla Polyphemus Records (etichetta siciliana ora non più esistente) è stato per me una chimera, come detto: ogni tanto mi rimettevo a cercarlo, ma inutilmente, o non esisteva, o nessuno lo vendeva, o se era in vendita aveva un prezzo esorbitante. Poi qualche giorno fa lo ritrovo, e con poche decine di euro e due giorni di attesa me lo ritrovo sulla scrivania, impacchettato nuovo fiammante, speditomi da quello che, secondo me, era il proprietario dell'etichetta. Un'altra favola d'amore a lieto fine...
"...e un bel giorno venne lei
"Ho delle caramelle", disse. Fu oro e sole.
Poi se ne andò nel diluvio
Per sempre..."
"Ho delle caramelle", disse. Fu oro e sole.
Poi se ne andò nel diluvio
Per sempre..."
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