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lunedì 19 novembre 2012

Nasceranno fiori da quelle carcasse

 
Piagata, ferita, la Natura è in ginocchio. Qui le città sono lontane, i loro miasmi non si avvertono più di tanto tra questi alberi, dove l’unico frastuono che regna è quello della feroce cascata, che dalle ruvide pareti rocciose sfoga la sua ira ancestrale a valle, dove sassi levigati e fondali muschiosi ne mitigano la foga... Eppure, nonostante la distanza, l'aria giorno dopo giorno si sta facendo sempre più densa, torbida.
Tra gli alti abeti, nelle radure ombrose, si alza un canto: è un lamento, non si capisce se generato da un umano, da un animale o da un altro essere vivente… E’ qualcosa di antico, di profondo, che se solo riuscissi anche tu a sentirlo, come lo sto sentendo io, lo percepiresti filtrare attraverso la tua pelle fino ai tuoi nervi, ai muscoli e alle ossa, e sentiresti il tuo corpo risuonare con una vibrazione mai provata prima. Il canto sale di intensità, si fa ipnotico, batte spesso sulle stesse tonalità, che al pari dell’acqua della cascata picchiano sempre nello stesso punto, fiaccando ogni resistenza. Ad esso si aggiungono poi dei tamburi, la cui cadenza pare ricreare il battito del cuore delle creature che muovono le fronde di questa foresta e fanno vivere il cielo sopra di esse. Sembra che il tutto, in netta opposizione a quanto sta avvenendo nella città neanche troppo lontana, sia mirato a celebrare la vita, la rinascita, la presa di posizione della Natura che c’è sempre stata, prima di tutto, e che di certo non si farà avvelenare da una delle sue creature.
Il povero cervo, ferito a morte da un cacciatore in cerca di un ricordino da gita domenicale, giace all’ingresso della grotta. La sua anima ormai da tempo ha raggiunto, tramite i fili d’erba che accarezzavano il suo corpo, il centro della Terra, nel quale si è riunito ai suoi simili nella danza della vita; e dalla sua carcassa forse domani, forse tra un mese, sbocceranno splendidi fiori, vita che si rigenera in continuazione.
Calerà infine la caligine che ammanterà gli alti abeti e i picchi innevati, ricompattando la foresta sotto il suo mantello nebbioso, cedendo poi il posto alla Notte, che con i suoi blandi ritmi conforterà i cuori stanchi dalla battaglia giornaliera, l’ennesima, che immancabilmente inizierà da capo il giorno successivo. Quando il sole sorgerà darà il benvenuto a nuove vite e a nuove perdite, e prenderà atto di come, ogni giorno di più, la Natura stia cedendo il posto al veleno della città vicina.
Evitando facili ironie sul nome della band, quello che ci troviamo ad ascoltare con “Ást” è puro e semplice “Cascadian Black Metal”, così come si suole ormai da molto definire la frangia di black metal prodotto nella regione denominata appunto Cascadia, al nord-ovest degli USA (e parte del Canada). Gli Skagos prendono le mosse dalla ferocia dei Wolves in The Throne Room, aggiungono una dose “sciamanica” e rituale che di recente ho avuto modo di apprezzare in act quali Alda e Addaura, e uniscono al tutto fraseggi intimistici e atmosferici tanto cari al neopaganesimo di casa Agalloch, per dare alla luce sei (mediamente) lunghe tracce piacevoli e mai stancanti, nelle quali la parte del leone la fanno soprattutto le emozioni che questi pezzi sanno veicolare. Purtroppo ultimamente band che suonano questa tipologia di musica stano spuntando un po’ ovunque, per cui risulta sempre più difficile distinguere quelle realmente valide dai meri imitatori, ma ritengo che si tratti anche di un genere particolarmente diretto sul piano emozionale. “Ást” rientra per fortuna tra i lavori più comunicativi sotto questo punto di vista: l’ascoltatore ormai avvezzo a queste sonorità non tarderà infatti a essere rapito dalle qualità dei Nostri, semplicemente rendendosi conto della velocità con la quale i pezzi prodotti dal combo sapranno insinuarsi sottola sua pelle, per spingerlo poi nuovamente a premere il tasto “play”.
Privo di significative debolezze, questo disco degli americani Skagos rientra a pieno titolo tra i “must have” di questo genere musicale.

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