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martedì 2 ottobre 2012

I Loved I Hated I Destroyed I Created


Non si può dire che la routine lo disturbasse, anzi si considerava una persona abbastanza abitudinaria. Eppure cominciava a non sopportare quelle quattro pareti, e delle persone che era costretto a frequentare ogni giorno per 8/9 ore solo poche erano quelle che tollerava. Di base negli ultimi tempi aveva tirato su un'alta barriera, che separava i rapporti che aveva in ufficio da quelli che aveva fuori. Non voleva essere amico di quelle persone, gli bastava il livello minimo di conoscenza, gli bastava essere professionale e affidabile sul luogo del lavoro, ma nel momento in cui si chiudeva il portone alle spalle era finita, almeno fino al giorno dopo (esclusi i pochi "superstiti" sopra menzionati).
Si sentiva sfruttato, sminuito, ultima ruota di un carro trainato da persone che spesso chiacchierano tanto ma concludono poco, almeno verso le sfere più basse; si vedeva affibbiati tutta una serie di compiti che non gli appartenevano in origine, doveva essere facchino e impiegato, mulo da soma e sfavillante specchietto verso l'esterno, doveva fare contemporaneamente più mansioni pur essendo pagato per una soltanto, e farle tutte bene; doveva gestire compiti importanti e urgenti impartitigli da persone "importanti" e liquidarli velocemente perché tutti erano urgenti, ma a secondo di chi te li commissionava potevano essere più o meno urgenti. Un bel casino, nel quale sinceramente lui cominciava a stare male, a essere nervoso, triste, mogio, e mal sopportare il non essere riconosciuto e l'essere considerato da meno degli altri del piano di sopra solo perché faceva una mansione "minore" (che poi, hai voglia a sentirti dire che era importante, sempre minore era, e lui lo sapeva).
Un giorno, guidando come al solito verso il luogo di lavoro, alzò gli occhi e vide un arcobaleno. Non era di certo il primo che vedeva, eppure questo era particolare, sembrava quasi chiamarlo, essere lì solo per lui. Guidò fino a dove sembrava essere la base dell'arcobaleno, accostò l'auto e uscì. Si incamminò per un boschetto, fiancheggiante l'autostrada che stava percorrendo solo pochi minuti prima, e passo dopo passo il tempo sembrava rallentare, il tempo dell'uomo pareva stesse confluendo nel tempo della natura, il cui scorrere è immensamente diverso, più lento, più implacabile. Arrivò dunque dove l'arcobaleno poggiava in terra, e allungò la mano per toccarlo: il suo braccio lo trapassò, e sentì sulla punta delle dita, che chiaramente riusciva a vedere al di là di esso, un tepore rassicurante, come quello di un primo sole di primavera. Pensò un attimo a cosa più detestava in quel momento della sua vita, e attraversò l'arco.
Quando ne uscì si ritrovò nel solito boschetto: si voltò e l'arcobaleno era sparito. Di fatto, all'esterno, non era cambiato nulla, eppure dentro sentiva la rabbia mitigarsi, sentiva l'odio per il suo lavoro essere lavato via dal desiderio di vivere, dalla voglia di rivalsa di una vita che si affermava non tra quelle mura, ma fuori di esse, a casa, con gli amici, insomma, "fuori". Doveva tornare a lavoro, lo sapeva, ma ora aveva un motivo per farlo: doveva andare a lavoro perché quello gli consentiva di valutare con il giusto prezzo quello che non era lavoro, gli permetteva di godere di ciò che aveva intorno, di apprezzarlo come mai forse aveva fatto, di respirarlo appieno. E si ricordò di una frase:
"Yesterday is History, Tomorrow a Mystery, Today is a Gift, Thats why it's called the Present"
Sorrise, si ridiresse verso la sua auto, accese e ripartì.

I loved

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