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sabato 20 ottobre 2012
Il futuro presente
Dato che lei sarebbe stata via per lavoro per una settimana decisi di fare un weekend come "ai vecchi tempi": tornare per un attimo alla mia vita di liceale, quindi il sabato pranzare dai miei, nella casa nella quale, fino a qualche anno prima, avevo abitato, passare il pomeriggio lì, magari guardandomi un buon film. Il tardo pomeriggio avrei poi fatto un giretto in città e avrei concluso il tutto con una pizzata in compagnia dei miei vecchi amici nella casa in cui invece stavo abitando regolarmente, quella della mia ragazza. E così feci: dopo pranzo mi recai nella mia vecchia camera, mi sdraiai un po' sul letto e mi addormentai.
Mi svegliò un raggio di sole, che era riuscito a filtrare dalle tende della finestra. Nel dormiveglia, con gli occhi ancora socchiusi, pensai di alzarmi e mettere su un CD, salvo poi ricordarmi che lo stereo non c'era più, me l'ero portato via durante il trasloco... Mi ero così tanto immedesimato nella parte del liceale che credevo davvero di essere tornato a una dozzina di anni fa. Invece, aperti gli occhi, con mio sommo stupore mi resi conto che tutto era davvero come nel 2000, ai tempi del liceo: la vecchia TV con la Play, i miei CD impilati (ancora non avevo avuto la brillante idea di ordinarli), il mobile traboccante di libri di scuola, il vocabolario di latino, in equilibrio precario sulla scrivania sulla quale avevo letteralmente lanciato il mio zaino al rientro da scuola, il vecchio PC, i tanti poster alle pareti. Mi sedetti dunque a pensare a quanto era successo: avevo forse sognato la mia vita "futura", di lì a dodici anni? Era così nitida! La vita da solo eppoi la convivenza, il mio cagnolino, il lavoro, l'Aikido, l'università, i concerti, la musica, il basso, gli amici vecchi e nuovi... Tutto dunque era ancora da costruire? La scoperta non mi demoralizzò, anzi: scrollai la testa, mi alzai e andai in bagno a prepararmi, visto che, di lì a poco, sarei dovuto uscire per incontrare, come ogni sabato, i miei amici. Nella confusione che mi ronzava ancora in capo mentre sceglievo cosa mettermi avevo però ben chiaro una cosa: se davvero avevo sognato avrei cercato di trovare quelle persone che tanto avrebbero significato nel mio futuro prossimo, avrei cercato di evitare certi errori (non tutti, visto che molti mi hanno fortificato), avrei visto la vita con altri occhi e sarei andato subito a cercare, il lunedì successivo durante l'ora di educazione fisica, quella ragazzina che correva con quella tuta rossa e i ricci raccolti in una coda, con solo due ciuffetti di capelli a contornarle il viso rotondo e gli occhioni scuri.
...E se invece il sogno non si fosse interrotto? Se stessi ancora sognando? Beh, allora continuerei quanto mi ero prefissato, quindi giro in città, cena con i vecchi amici a casa mia, ma, di sicuro, mi proporrei di rivivere per un pomeriggio quanto sopra descritto. Un sabato, vedersi subito dopo pranzo con i vecchi amici di sempre, chiacchierare tutti insieme, magari anche con i miei (sono certo che piacerebbe anche a loro rivederli), eppoi scendere nel piazzale, mettere quattro sassi a mo' di pali delle porte da calcio, tirare fuori il vecchio pallone, e giù calci e corse su quel breccino scivoloso, inseguendo un qualcosa che, forse, non è realmente mai fuggito da me (e da noi?), la nostra giovinezza.
Dedicato a chi c'era, c'è e, nonostante tutto, ci sarà.
Hún Jörð...
venerdì 12 ottobre 2012
martedì 2 ottobre 2012
I Loved I Hated I Destroyed I Created
Non si può dire che la routine lo disturbasse, anzi si considerava una persona abbastanza abitudinaria. Eppure cominciava a non sopportare quelle quattro pareti, e delle persone che era costretto a frequentare ogni giorno per 8/9 ore solo poche erano quelle che tollerava. Di base negli ultimi tempi aveva tirato su un'alta barriera, che separava i rapporti che aveva in ufficio da quelli che aveva fuori. Non voleva essere amico di quelle persone, gli bastava il livello minimo di conoscenza, gli bastava essere professionale e affidabile sul luogo del lavoro, ma nel momento in cui si chiudeva il portone alle spalle era finita, almeno fino al giorno dopo (esclusi i pochi "superstiti" sopra menzionati).
Si sentiva sfruttato, sminuito, ultima ruota di un carro trainato da persone che spesso chiacchierano tanto ma concludono poco, almeno verso le sfere più basse; si vedeva affibbiati tutta una serie di compiti che non gli appartenevano in origine, doveva essere facchino e impiegato, mulo da soma e sfavillante specchietto verso l'esterno, doveva fare contemporaneamente più mansioni pur essendo pagato per una soltanto, e farle tutte bene; doveva gestire compiti importanti e urgenti impartitigli da persone "importanti" e liquidarli velocemente perché tutti erano urgenti, ma a secondo di chi te li commissionava potevano essere più o meno urgenti. Un bel casino, nel quale sinceramente lui cominciava a stare male, a essere nervoso, triste, mogio, e mal sopportare il non essere riconosciuto e l'essere considerato da meno degli altri del piano di sopra solo perché faceva una mansione "minore" (che poi, hai voglia a sentirti dire che era importante, sempre minore era, e lui lo sapeva).
Un giorno, guidando come al solito verso il luogo di lavoro, alzò gli occhi e vide un arcobaleno. Non era di certo il primo che vedeva, eppure questo era particolare, sembrava quasi chiamarlo, essere lì solo per lui. Guidò fino a dove sembrava essere la base dell'arcobaleno, accostò l'auto e uscì. Si incamminò per un boschetto, fiancheggiante l'autostrada che stava percorrendo solo pochi minuti prima, e passo dopo passo il tempo sembrava rallentare, il tempo dell'uomo pareva stesse confluendo nel tempo della natura, il cui scorrere è immensamente diverso, più lento, più implacabile. Arrivò dunque dove l'arcobaleno poggiava in terra, e allungò la mano per toccarlo: il suo braccio lo trapassò, e sentì sulla punta delle dita, che chiaramente riusciva a vedere al di là di esso, un tepore rassicurante, come quello di un primo sole di primavera. Pensò un attimo a cosa più detestava in quel momento della sua vita, e attraversò l'arco.
Quando ne uscì si ritrovò nel solito boschetto: si voltò e l'arcobaleno era sparito. Di fatto, all'esterno, non era cambiato nulla, eppure dentro sentiva la rabbia mitigarsi, sentiva l'odio per il suo lavoro essere lavato via dal desiderio di vivere, dalla voglia di rivalsa di una vita che si affermava non tra quelle mura, ma fuori di esse, a casa, con gli amici, insomma, "fuori". Doveva tornare a lavoro, lo sapeva, ma ora aveva un motivo per farlo: doveva andare a lavoro perché quello gli consentiva di valutare con il giusto prezzo quello che non era lavoro, gli permetteva di godere di ciò che aveva intorno, di apprezzarlo come mai forse aveva fatto, di respirarlo appieno. E si ricordò di una frase:
"Yesterday is History, Tomorrow a Mystery, Today is a Gift, Thats why it's called the Present"
Sorrise, si ridiresse verso la sua auto, accese e ripartì.
I loved
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