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giovedì 18 settembre 2014

Fàilte Gu Alba



"Home...
Oceans of grass from horizon to horizon, further than you can ride.
The sky, bigger than you can imagine.
No boundaries.
Some peopIe wouId caII that freedom."

Oggi è il giorno che ogni Scozzese ha sempre aspettato, e forse temuto, oggi si vota per l'indipendenza.

Per la vicinanza che sento con quel popolo e con la sua cultura io stesso se mi fermo un attimo a pensare a cosa farei se fossi scozzese sento una certa pressione addosso: forse ho mitizzato la cosa, ma credo che se stasera alle 22:00 il "sì" avrà avuto la meglio sul "no" un'importante pagina della storia verrà scritta. Se il "sì" avrà la meglio il 24 marzo 2016, 309 anni dopo l'Act Of Union con l'Inghilterra, la Scozia sarà libera e padrona del suo destino, libera di fallire e impoverirsi o di risplendere in tutta la sua bellezza, responsabile dei suoi successi come dei sui fallimenti, in grado di gestire in autonomia il suo potenziale ed eventualmente crollare in ginocchio sotto i colpi di una crisi che potrebbe non sostenere. Insomma, potrà fare quanto profetizzato nell'anthem "Flower of Scotland": "(...) we can still rise now, And be the nation again, That stood against him, Proud Edward's army, And sent him homeward Tae think again"

Scozia indipendente potrebbe significare (al negativo) niente sterlina per loro, niente monarchia (il che ovviamente è per il paese un fatto positivo), una nuova candidatura per entrare in UE; si tradurrebbe però (in positivo) in una migliore gestione delle ricchezze del territorio in termini di turismo, petrolio, banche, industrie e quant'altro risieda nel nord dell'attuale Gran Bretagna, un ingresso in Europa (e con l'Euro?), e comunque una permanenza nel Commonwealth.
La scelta è tosta, Londra ha promesso molte aperture e concessioni in caso l'indipendenza non vada in porto, ma penso che sotto sotto temano un po' anche loro questo momento. Sinceramente non saprei cosa votare: il mio cuore andrebbe indubbiamente verso il "sì", cresciuto come sono con il mito di queste terre fiere orgogliose e battagliere, ma siccome oggi conta (e non poco) il "grisbi", forse più dell'onore, dell'orgoglio e del cipiglio, forse converrebbe propendere per il "no".
Una cosa è sicura: un momento come questo difficilmente accadrà, per cui se il popolo scozzese si sente realmente in grado di camminare da solo che si sollevi e si proclami libero, e si accolli le responsabilità del caso. Se fallirà ed entrerà in crisi come molti prospettano spero che questo momento buio verrà affrontato con il coraggio e l'orgoglio con il quale si sta ora proclamando l'indipendenza... Della serie, morire con onore almeno.

Qualunque sia il risultato del referendum rimarrò sempre legato a questa terra e fiero dei suoi colori e della sua gente: un'idea romantica forse la mia, ma non essendo scozzese e non vivendo su suolo albionico mi basta per alimentare i miei sogni.

"We are sorrow's children
Torn from Alba's womb
A reflection of fallen martyrs
The lifeblood of this land
We are the mountains of heather
And the desolate moorland below
Aurora and darkness
The pathos of the afterglow
We are the forsaken
Ancient echoes in the breeze
The fallen leaves of autumn
Withering away"

A Highland Lament

domenica 10 agosto 2014

Fuori portata

 
"Guardami, fammi un cenno di avvicinarmi, o alzati e vieni tu da me, fa lo stesso, ma così non è vita. Facciamo finta che oggi non sia iniziato, facciamo finta che i giorni tristi non siano mai esistiti, cerchiamo la nostra felicità in noi due e chiudiamoci agli altri, che ti e ci creano solo problemi. Sappiamo entrambi quali sono i nostri ruoli, sappiamo entrambi che non smetterò mai di esserci per te e di ascoltarti quando ne avrai bisogno. Non ha senso per te preoccuparti per gli altri,  fai come me, viviamo per noi e per nessun altro. E se oggi qualcosa è andato storto perdonami, ma da parte mia non c'era alcuna intenzione di venir meno a quello che ho giurato di fare.
Ora voltati e guardami, perché l'essere così vicini eppure così lontani mi fa male più di ogni ferita, e il saperti chiusa e che non ti fidi più di me mi rende più solo di quanto non sia mai stato."
 
 
...alla fine poi ci siamo nuovamente abbracciati, ed è stato, davvero, come se nulla fosse successo...


giovedì 7 agosto 2014

...Ché mai vi fu una storia così piena di dolore come questa



Dai fatali lombi di due nemici discende una coppia di amanti, nati sotto cattiva stella, il cui tragico suicidio porrà fine al conflitto.”

La cripta lo avvolge con il suo umido calore, che gli si incolla addosso come una guaina pian piano che scende gli scalini illuminati da un’incerta luce del sole che sta sorgendo, che a malapena filtra dalle piccole finestre.
Nel mezzo alla stanza, su un letto di marmo, sta lei, la persona che più aveva amato nella sua vita, quel lampo di gioia che, seppur breve, gli aveva dato modo di pensare che forse il loro amore avrebbe convinto le loro famiglie a smettere di darsi battaglia e a massacrarsi come era accaduto fino a quel momento.
Le lacrime agli occhi, la rabbia nel cuore, ed una pozione in mano: la sua mente è un turbine di pensieri, ma solo uno emerge sugli altri, la voglia di raggiungerla, là dove nessun altro li avrebbe potuti separare.
Le si avvicina per porgerle l'estremo saluto. “E così con un bacio io muoio”, e si accascia a terra su un cuscino di muschio.

Di lì a poco lei riapre gli occhi: il piano era riuscito, il finto veleno aveva inscenato una morte fasulla che aveva ingannato tutti… Ma proprio tutti, anche chi non doveva trarre in inganno. Fa per voltarsi verso la porta e lo riconosce, riconosce quel viso giovane dalla pelle baciata dai primi raggi del sole, quei lineamenti che avrebbe voluto accarezzare per tutta la vita, corre da lui per abbracciarlo, ma ormai è finita, qualcuno se lo è già portato via con un colpo di falce. E’ in preda al panico e alla disperazione, non avrà più modo di sentire la sua voce e vedere i suoi occhi brillare. Ma proprio un luccichio attira la sua attenzione, il pugnale di lui. Con la mano tremante lo afferra: “Pugnale benedetto! Ecco il tuo fodero...” E trafiggendo il suo triste cuore, “qui dentro arrugginisci, e dammi morte”.

Ed eccoli, abbracciati per sempre l’uno accanto all’altra. “Una triste pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto. Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il perdono, altri un castigo. Ché mai vi fu una storia così piena di dolore come questa di Giulietta e del suo Romeo

Chi sono i So Hideous? Fino a qualche tempo fa conosciuti con il monicker “So Hideous, My Love”, il quartetto newyorkese da alle stampe il primo LP (dopo alcuni EP molto ben accolti) dal titolo “Last Poem/First Light”, e fa centro. Colpisce piacevolmente la ricetta di questi ragazzi, uno strano ibrido tra violenza (post) black metal, la sofferenza di matrice (ancora, post) hardcore e certe atmosfere sognanti che fanno da cornice al tutto, create addirittura da un’orchestra sinfonica. C’è dolore in queste sei tracce di poco più di mezz’ora di durata, c’è un ripiegarsi su se stessi figlio dello screamo e del male di vivere che tanto fiorisce nelle recenti produzioni post black metal, ma c’è anche tanta epicità, merito dei crescendo orchestrali che fanno salire il pathos di pari passo con la foga e l’urgenza delle liriche. Ascoltando il disco vengono in mente tanti gruppi che navigano bellavente nei confini tra post black metal e post hardcore, gente come Harakiri for the Sky, Lantlôs (non gli ultimi), Thränenkind, Envy, Elijah, A Hope for Home, e tutta la frangia "post" più emozionale ... Gente che patisce insomma, che si scartavetra la gola e si brucia le mani suonando e mettendo in musica i loro sentimenti.
Si tratta di un album di ottimo livello ma di non facile fruibilità: ha bisogno di decantare e di crescere con gli ascolti. Un consiglio: in cuffia, senza distrazioni, e a volume sparato fino al sopportabile. Le orecchie sanguineranno ma i brividi lungo la schiena ed i peli drizzati sulle braccia vi diranno che avete fatto la scelta giusta decidendo di perdere tempo dietro a questi inconsolabili e teatrali piagnucoloni.

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http://www.debaser.it/recensionidb/ID_41169/So_Hideous_Last_PoemFirst_Light.htm

giovedì 22 maggio 2014

Quando il vento smetterà di soffiare


 

Alle volte rimani colpito da persone che non conosci semplicemente guardandole in foto, o leggendo cosa altri dicono di loro. E' successo anche questa mattina.
E' come nei cartoni animati, quando un quintale di mattoni crolla in testa al malcapitato di turno: ti senti gelato, inebetito da quello che hai appena letto, non ti dai spiegazioni ma ci rimani male, di cuore, perché la cosa ti ha toccato in un modo che non capisci.
Wilhelm aveva un anno più di me: qualche settimana fa aveva deciso di mettere in standby la propria etichetta, per ragioni di tempo e per momentanea mancanza di voglia e di stimoli. La cosa mi aveva fatto rimanere un po' male, anche perché era un'etichetta carina, in grado di scovare nel fitto underground di band "strane" del Nord America (ma non solo) vere gemme. Ho detto "strane" perché Wilhelm era molto trasversale nei suoi gusti musicali, passando con disinvoltura dal black metal caotico e tendente al noise al post black sognante ed etereo, ma tutto ciò che decideva di produrre, tutte le passioni che assecondava, sapevi che erano centellinate ma che erano di notevole fattura. Anche perché spesso e volentieri le confezioni di questi album erano curate da lui stesso, assemblate da lui una per una, spesso in poche copie numerate. Era insomma una persona che, quando credeva in qualcosa, ci si buttava a capofitto, con la modestia che i suoi occhi ed il suo sorriso mi hanno comunicato subito anche quella mattina in cui ho letto che se ne era andato.
E' stata sua moglie a dare questo annuncio, senza dare spiegazioni, dicendo solo "...Wilhelm is no longer among us". Il post continuava parlando di questo ragazzo, di come fosse in grado di illuminare con il suo spirito le persone e le cose che aveva intorno, e chiudendo con "Wilhelm, darling-- please rest in peace, the world is a little less bright without you..."
Arrivato alla fine del messaggio come detto non sapevo cosa pensare, avevo solo gran confusione in testa, con immagini e suoni che si legavano tra loro. Due foto in particolare mi sono tornate in mente, collegate ad un disco specifico.
In una c'era una ragazza, con gli occhi tristi, infreddolita sebbene la foto fosse bagnata da tinte tutto sommato calde, autunnali. La ragazza teneva in mano una tazzona forse di caffè, e stava seduta (credo) sul sedile posteriore di un'auto tutta stretta attorno ad un giaccone a righe sformato... Se non fosse stato per i colori e per altri particolari avrei detto che si trattava di una reduce di un campo di concentramento.
Nella seconda foto c'era invece una casa, con alla sua sinistra un bellissimo albero in fiore (pareva un pesco), e sullo sfondo altre case isolate. La cosa bella di questa immagine, al di là dell'effettiva rilevanza estetica, stava nel fatto che la foto era stata scattata in pieno inverno (c'era neve in terra e sul tetto delle case), ma l'albero si ostinava a fiorire, con le sue foglie che brillavano dorate immerse in una luce che tanto mi ricordava quella che caratterizzava la foto precedente.
Il disco che ho istintivamente legato a queste foto, a Wilhelm, e alla sua storia, è un disco dolce e freddo, lontano e raggelante come il vento che soffia di continuo citato nel suo titolo. E' un disco che parla di amore, di abbandono, di malinconia e di dolcezza, e lo fa con parole scandite lentamente ma urlate da lontano, come se fosse lo stesso vento a trasportarle. La musica, lontano dall'essere aggressiva (sebbene nasca da un genere che faceva della rabbia e della ferocia la sua ragion d'essere) sa essere sferzante, sa tagliare ma non è repulsiva, ti attrae in maniera ipnotica e ti avvolge... Proprio come quel cappotto sformato di quella ragazza. E anche la sensazione di caldo/freddo veicolata dai pezzi è la stessa che la luce con la quale sono state scattate le foto dona ai volti e ai paesaggi.
Il gruppo (anche se di fatto si tratta di una sola persona) che ha fatto questo disco lo ha dedicato alla ragazza in copertina (la madre dell'artista), ma leggendo il post della moglie di Wilhelm il collegamento con lui è stato automatico, e credo che anche lo stesso artista (il cui disco è stato pubblicato proprio dall'etichetta di Wilhelm) leggendo la notizia immediatamente avrà ricollegato le cose.
Ormai sono alcuni giorni che è comparso questo post ma ancora ci penso, e non me ne faccio una ragione: penso che lui aveva quasi la mia età, penso a cosa possa essere successo per aver interrotto così bruscamente la sua vita, e penso all'enorme, immenso, freddo vuoto che lasci quando te ne vai così, da un giorno all'altro: anche se, ne sono sempre stato convinto, se sei una persona buona, se hai fatto alcune belle cose per chi ti sta intorno, quando te ne andrai lascerai comunque un alone dorato, una presenza, un profumo che le persone ricondurranno sempre e assoceranno sempre a te. Così sarà anche per Wilhelm, così è stato, almeno per quanto mi riguarda, per David Gold prima di lui.
"Until the Wind Stops Blowing" è l'ultimo disco dei Clouds Collide, monicker dietro il quale si nasconde il solo Chris Pandolfo. Il genere proposto fa capo ad un post-black metal molto venato dallo shoegaze ("Blackgaze" o "Blackenede Shoegaze" ho letto anche): per capirsi, siamo dalle parti del primissimo Alcest. Il gusto per la melodia sognante innestata su tappeti black accomuna i due, anche se lo scream di Pandolfo è meno potente e lancinante di quello di Neige, più effettato e fuso con i contorni della musica che propone, quasi uno strumento aggiunto. Inoltre dove i primi dischi di Neige potevano ricordare un tiepido pomeriggio autunnale qui siamo in pieno inverno, in una mattina caratterizzata da un cielo sgombro di nuvole e da folate improvvise di vento gelido... Freddo e vento che caratterizzano tutto il lavoro, dal titolo a vari innesti nei vari pezzi. Si tratta di un lavoro da ascoltare tutto d'un fiato, in grado di cullare l'ascoltatore sebbene la proposta non sia, ovviamente, delle più dirette ed accessibili.
Attualmente non so quale possa essere la reperibilità "fisica" del disco (non credo sia un problema per il formato digitale): causa la chiusura dell'etichetta per la quale è stato pubblicato, Khrysanthoney, credo che il punto di riferimento principale rimanga l'autore stesso. E' comunque un lavoro che va ascoltato, almeno prima che arrivi l'estate, quando è ancora vivo il ricordo dell'inverno. Di certo va ascoltato quando si vuole pensare a qualcuno che non c'è più, perché come dice lo stesso Pandolfo parlando del suo progetto, i cardini sui quali fonda la sua musica sono "Music. Life. Death. Dreams. Memories. Nostalgia. Ups. Downs. "

Nota: non volevo che venisse fuori un elogio funebre, ma questa è la natura delle mie "recensioni blogghettose": scrivo solo se la musica mi comunica immagini, e stavolta è andata così. Spero di non avervi tediato, ma mi sentivo di scrivere due parole su una persona che non c'è più e su un gran disco che, per fortuna, sono riuscito ad acquistare, e che terrò ancora più caro.


The Way the Wind Blew

http://www.debaser.it/recensionidb/ID_40912/Clouds_Collide_Until_the_Wind_Stops_Blowing.htm 

venerdì 9 maggio 2014

Sulla musica sofferente e sul pathos

 

immagine "rubata" ai Clouds Collide


Certa musica soffre.
Alcuni dischi lo senti che patiscono, lo senti nella voce del cantante, straziata e straziante, graffiata e graffiante (è la prima cosa che salta all'orecchio di un ascoltatore non avvezzo a certe sonorità), ma se questa musica è il tuo pane quotidiano, se ne ascolti a palate tutti giorni, riesci tranquillamente ad andare oltre alla voce disperata, e lì cominci a fare diversificazioni, e a capire cosa colpisce davvero il cuore e cosa invece si ferma alla pelle, e quindi cosa rimarrà indelebile (o comunque per un po' di tempo) e cosa invece sarà cancellato dall'ascolto successivo.
E' bello allora rendersi conto che certi dischi catalogati come depressive, strappalacrime e strappamutande, che possono causare tendenze suicide ecc, alla fine ti mettono quasi di buon umore, li ascolti con disinvoltura e senza neanche attenzione; così come è bello, ascolto dopo ascolto, rendersi conto che un disco apparentemente semplice si rivela di una complessità inaspettata, e che anche se apparentemente dotato di melodie (che parola da usare nel black metal!) ariose e cristalline sa veicolare una malinconia piacevole che non ti aspettavi affatto di trovarci.

"Pathos [πάθος, pathos] (dal greco πάσχειν "paschein", letteralmente "soffrire" o "emozionarsi") è una delle due forze che regolano l'animo umano secondo il pensiero greco. Esso si oppone al Logos, che è la parte razionale. Il Pathos infatti corrisponde alla parte irrazionale dell'animo.
Per gli antichi greci questa "forza emotiva" era strettamente collegata alle realtà dionisiache o comunque dei riti misterici. Per questo il Pathos indicava tutti gli istinti irrazionali che legano l'uomo alla sua natura animale e gli impediscono di innalzarsi al livello divino.
Nell'Italiano moderno può assumere il significato di carica emotiva e di commozione derivati dalle rappresentazioni teatrali e delle arti figurative in genere, il sentimento insito in un'opera. In epica, quando si parla di pathos, si intendono quelle sequenze della vicenda più cariche di emozioni, come quando si descrive qualcosa di triste, una sofferenza."

E' proprio questa la condizione che si crea in questi momenti, e fa così strano alla gente che sia un genere (apparentemente) intransigente come il black metal a crearla... Perché non sanno che non si tratta di black metal soltanto, ma di un figlio bastardo di unioni ora con il post rock, ora con lo shoegaze, ora con il folk, ora con il post HC. Lo dicevamo con un mio amico qualche giorno fa:

"D. - Ma quanto sarà bello il black metal, ancora dopo 25 anni regala soddisfazioni
Io - Vero?
D. - Credo che quello che cantava con me e diceva/scriveva che era stato il nuovo punk avesse ragione... Se pensi a come generi siano riusciti a modificarsi, cambiare, infiltrarsi e rimanere vitali aveva proprio ragione
Io - No no infatti, è vitalissimo, molto più di tanti altri generi nel metal... E per come era nato, così oltranzista, è quasi un paradosso."

Questo post è nato da alcuni ascolti che sto facendo in questi giorni: tra scoperte e riscoperte mi sono reso conto che c'è un filo conduttore in tutto quello che ascolto, il pathos appunto, il saper emozionare (con la malinconia nel mio caso), e poco importa se si parla di Cascadian Black Metal, Depressive Black Metal, Post Black Metal o altre diversificazioni simili, l'importante è arrivare a questa condizione.


Qualche ascolto:

Clouds Collide - As If a Dead Leaf
Harakiri For The Sky - Mad World
Regarde Les Hommes Tomber - II Wanderer Of Eternity
So Hideous - My Light
Saor - Roots
Wolves In The Throne Room - I Will Lay Down My Bones Among The Rocks And Roots
Alda - Wandering Spirit
Thränenkind - This Story of Permanence

...e tante altre...

lunedì 7 aprile 2014

A moment of clarity

Per molti la primavera è sinonimo di ritorno alla vita, di movimento, di attivismo fisico: le giornate migliorano, sono più lunghe, e le persone come gli animali come la natura stessa si preparano a quello che è il loro picco di gioia, l'estate. Personalmente avverto invece la primavera come torpore, come invito a fermarsi tra il sole e l'ombra e a riflettere a caso, a ruota libera, su tutto. Attivismo quindi anche in questo caso, ma mentale più che fisico, portato a camminare con la testa più che con le gambe.
E' allora che, seduto su degli scalini all'ombra, in una bella giornata in cui preferiresti essere da un'altra parte (perché hai la testa altrove magari), ma sai che dovrai passare tra quattro mura altre 4-5 ore, è allora dico che ti metti a vagare, e che il tempo comincia a scorrere in maniera diversa, anarchica.
Con nelle orecchie un disco perfetto per quell'occasione pensi a tante cose... Pensi a cosa hai tra le mani adesso, e a quanto niente sia per sempre; pensi al perché una persona dovrebbe riversare tanto amore verso un animale domestico, se questo poi se ne andrà, e ti lascerà vuoto; pensi se ne valga la pena, pensi se in fondo ne esci arricchito o privato (sono arrivato alla conclusione che sono entrambe le cose, e che rifarei ogni singolo passo che ho fatto). Pensi a come stavi un anno fa, a cosa ti preparavi a fare, a quante ne hai passate e a quante ancora ne passerai con la persona che ti sta accanto; pensi alle priorità, al levarsi di torno in due o tre (la persona che ami e "l'animale domestico" di cui sopra) per andare dovenonsisabastalevarsiditornodaqui, pensi alla frenesia e all'ansia che alle volte ti assalgono, e alla voglia che avresti di prendere e uscire in giardino.
Poi pensi a quanto sia inutile quanto scritto fino ad ora, a quanto sia scontato, trito e ritrito, te ne vergogni quasi, stai per cancellare questa pagina ma poi no, chi se ne frega, io la tengo senti. Tanto la pubblico nel mio blog, che originariamente doveva servire da taccuino dei miei stati d'animo. Eccolo allora un bello stato d'animo, un'istantanea di un giorno di aprile in cui ti senti sull'orlo di qualcosa ma non sai di cosa, forse non è nulla, forse non accadrà niente e i giorni andranno avanti come sempre.
Odio la primavera, mi fa pensare: preferisco l'autunno o l'inverno, almeno sei costretto a muoverti fisicamente sennò ti piglia freddo o ti bagni.

PS: Il disco in questione, se può interessare, è "Weminuchia" degli Evergreen Refuge. Si tratta di un album di un'oretta circa composto di sole tre tracce, un post rock "boscaiolo", nel senso che è fortemente imbastardito da quel feeling cascadiano che tanto mi piace. Musica forse impegnativa, ma incredibilmente avvolgente e calda. Si trova qui.