Quando ero piccolo guardando il Re
Leone scoprii una cosa tristissima: gli elefanti, quando sentivano di
essere prossimi alla morte, lasciavano il branco per affrontare, da
soli, il loro destino. La cosa ebbe su di me un effetto dirompente,
come del resto tutto il film in sé.
Con il tempo ho poi scoperto che questa
pratica di abbandonare i propri luoghi familiari per morire è comune
anche ad altri animali: lupi, cani, gatti, tutti, seppur
addomesticati, preferiscono allontanarsi, se sono in grado di farlo,
per passare con se stessi gli ultimi momenti di vita. Oggi come
allora però non riesco a capire questa cosa: perché se sei stato
coccolato, accudito e viziato, vuoi privare i tuoi cari delle tue
ultime ore di vita su questa terra?
Ho pensato a tutto questo oggi
pomeriggio, quando mio padre mi ha telefonato per dirmi che Neve, la
nostra pastore maremmano mista a setter mista a golden, ci ha
lasciato dopo anni di lotte contro tanti tumori che ne stavano
devastando l'organismo. Neve non abitava più con me da ormai cinque
anni, essendomi io trasferito a vivere prima da solo, poi con la mia
ragazza (ora moglie), ed avendo già un mio cane, Ginny, una cucciola
di Cavalier King di tre anni e mezza, mia (e nostra) immensa gioia.
Vedevo Neve solo nel fine settimana, quando andavo a trovare i miei
genitori: aveva sempre uno sguardo o una leccatina dolce per tutti,
per me, per Ginny, per i micini che, quando entravano in casa, appena
la vedevano le si lanciavano addosso per fare tante fusa. Erano però
alcuni mesi che camminava molto male: un brutto tumore (uno dei tanti
che aveva) si era gonfiato a tal punto da impedirle di muovere quasi
del tutto una zampa davanti: i movimenti risultavano lenti e
faticosi, complice poi anche l'età che avanzava inesorabile (Neve
era nata nel dicembre 2001). Ciò nonostante come detto l'occhio era
dolce e vigile, la mente sempre ben presente, rispondeva attivamente
quando i miei genitori (e soprattutto mio padre) le parlavano. Sì
perché noi in famiglia non abbiamo mai “dato ordini” ai cani,
abbiamo sempre parlato con loro, e visti i risultati che ci hanno
dato sinora, Ginny compresa, ritengo che sia la cosa più giusta.
Ovviamente questo giochino ti porta ad affezionarti ogni giorno di
più a queste bestiole, talvolta la razionalità che dovrebbe
caratterizzare il tuo cervello di umano evoluto va a farsi benedire,
e ti trovi a piangere come un bambino nonostante i tuoi sessanta
anni.
Mio padre, in lacrime, mi ha raccontato
che Neve è uscita nell'orto, si è scavata una buca e vi si è
rintanata, uggiolando solitaria. Quando mia madre, accortasi della
sua assenza, l'ha cercata eppoi trovata, l'ha accarezzata più volte,
ricevendo in cambio uno sguardo dolcissimo, seppur in procinto di
spegnersi. Quando mio padre (che lei ha sempre considerato il suo
“vero” padrone) l'ha accarezzata, lei ha smesso di piangere, per
poi iniziare ad ululare quando lui si è allontanato. Neve stava male
da alcuni giorni, è peggiorata nel giro di poche ore, ma mai, mai si
era comportata in quel modo, mai sentita uggiolare di paura o
dolore... Ha sempre affrontato tutto in silenzio, e pare che questa
forza l'abbia trasmessa anche alla piccola Ginny, che non si lamenta
mai, neppure quando sta molto male.
Vedendola in quello stato mio padre ha
capito: dio solo sa quanto gli è costato chiamare il veterinario per
farla addormentare, dio solo sa quanto ha patito nel vederla viva
l'ultima volta... Ma dio solo sa quanto è stata male Neve in questi
momenti. Ora quindi mi chiedo: è stato giusto attendere? Forse
soffriva molto anche prima ma la sua tempra la portava a non
esprimersi in alcun modo, finché il dolore non è stato
insopportabile? Io sono stato felice che Neve se ne sia andata a casa
sua, ma tutte quelle sofferenze non so se gliele avrei fatte
passare... Ed è un bene che l'abbia vista per l'ultima volta quattro
giorni fa: l'ho accarezzata, salutata, e ho preso accordi con
qualcuno affinché non fosse sola una volta lassù. La mia coscienza
è tranquilla, non avrei sicuramente retto nel sentirla in quello
stato, visto come reagisco quando Ginny sta male.
Arrivò d'inverno, ero appena rientrato
a casa e mio padre me la fece vedere: la presi in braccio, la portai
in casa e la misi sul mio letto... Non si è più schiodata dai letti
di casa, finché ha potuto! La sera doveva dormire fuori... Sì come
no! Mia madre, al tempo abbastanza intollerante nei confronti dei
cani, sentendola guaire ed arrampicarsi da sola sulla rete che la
separava dal giardino, per venire in casa, fu commossa a tal punto
che la liberò e vietò a mio padre di farla dormire fuori, se non
espressamente richiesto dalla stessa Neve.
Ricordo i giochi sul letto, le lotte,
le corse in corridoio e nel bosco, i pomeriggi passati a studiare con
lei sul letto, le volte che, per febbre, me ne stavo a letto (con lei
distesa sopra a bloccarmi il respiro)... Ricordo quanto le volevano
bene i vari micini, ricordo lei che correva per casa con il povero
persiano rosso, Toto, in bocca: lo trattava come un giocattolino!
Ricordo le volte che ha ringhiato in presenza di estranei, quando ha
difeso la piccola Ginny dall'assalto di un altro cane che la voleva
mordere... E ricordo la sua fiera indole di pastore maremmano, che la
portò una sera d'estate, con i cinghiali in giardino (erano passati
dal cancello che dava sul bosco) a non alzare un dito preferendo
osservarli dalla cima delle scale tranquillamente distesa! Cane da
pastore sì, ma mica scemo!
Come scrissi in un mio vecchio post, quando penso a lei mi ricordo immediatamente di questo passo de "Il Richiamo della Foresta":
"Mentre Buck li guardava, Thornton
s'inginocchiò vicino a lui, e con le sue rozze e affettuose mani
cercò se vi fossero ossa rotte. Quando fu sicuro che non vi era
niente altro se non molte contusioni e un terribile stato d'inedia,
la slitta si era allontanata di un quarto di miglia. Il cane e l'uomo
la guardavano strisciare sul ghiaccio.
Improvvisamente videro sprofondare la
parte posteriore e il timone, con Hal aggrappato, ergersi nell'aria.
Giunse alle loro orecchie l'urlo di Mercedes. Videro Charles voltarsi
e fare un passo per tornare indietro, poi un'intera lastra di
ghiaccio cedette, e i cani e gli uomini scomparvero. Rimase solo una
buca aperta. La pista aveva ceduto.
John Thornton e Buck si guardarono.
- Poveri diavoli, - disse John
Thornton.
E Buck gli leccò la mano."
Mi piace pensare che adesso è lassù
con una persona che sta già vegliando su di lei, mi piace pensare
che parte della sua forza e intelligenza siano passate a Ginny, e mi
piace pensare che, anche con lei, un giorno ci riabbracceremo, in un
modo o nell'altro.
Ciao Nevona.
Scattered like seeds on the wind,
we fall evermore from the Spring
ever-growing,
and we dream of the Cycle’s end.
Asleep at the fire’s edge we await.
Asleep at the fire’s edge we dream
and count the Cycles.
Asleep at the fire’s edge we dream
and count the passings…