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mercoledì 28 marzo 2012

Barocchismi




...riempire una pagina bianca con parole che testimoniano la mia totale mancanza di idee di questo periodo.

Se non è horror vacui questo...

Weight

giovedì 8 marzo 2012

Rapito dal Re


Le sue guance erano rosse fuoco, la sua testa scottava come se tizzoni ardenti stessero bruciandodietro i suoi occhi: Johann sapeva che suo figlioletto Werther non sarebbe sopravvissuto a quella notte, e che c'era bisogno di fare qualcosa, di portarlo al più presto al vicino villaggio per tentare di arginare in qualche modo quella terribile febbre che attanagliava il bimbo di cinque anni da ormai qualche giorno.
Lo avvolse alla bell'e meglio in una calda coperta che fino a quel momento era rimasta appesa vicino al crepitante focolare, lo imbacuccò bene bene e, di corsa, si precipitò fuori casa con il figlio in braccio e salì sul cavallo, che come un'onda in un mare in burrasca si impennò e di slancio partì nel buio di quella notte di febbraio. "Non è lontano il villaggio" diceva Johann al bambino (che, febbricitante com'era, era sospeso in uno stato di dormiveglia tremendo, nel quale non sapeva distinguere ciò che era reale da ciò che era frutto della malattia), "Resisti figlio mio"! A ogni scossa del cavallo il bambino sussultava, parlottava tra sé e sé, si divincolava e cercava di liberarsi da mani immaginarie.
"Non vedi, padre, il Re degli Elfi?" diceva Werther... Johann tentava di rassicurare il figlio, dicendogli che non c'era nulla intorno a loro, solo il freddo vento che spirava sui loro volti, la nebbia e gli ossuti rami degli alberi ai bordi della strada, ma nel bambino cresceva la paura di qualcosa che il padre non vedeva (o non voleva vedere). Il giovane parlottava sempre più forte, sempre più intensamente: parlava di un Re che lo chiamava a sé, che cercava di conquistarsi la sua fiducia narrandogli di giochi, di belle favole, di castelli e di prelibatezze che lo attendevano se solo si fosse lasciato scivolare tra le sue grige braccia.
L'uomo, terribilmente impaurito e preso dall'orrore nell'udire i tremendi deliri del figlio, accelerò la corsa del suo cavallo, e in poco tempo raggiunse il villaggio. Sopraffatto dallo sforzo e dalla fatica riuscì lo stesso a sollevare il bambino e correre verso la bottega del dottore: aperta la porta entrò come un uragano dentro la stanza, e appoggiò delicatamente Werther sul lettino. Quando gli scoprì il volto la disperazione lo prese nel vedere che il bimbo non respirava più, che il suo cuore aveva smesso di battere, che la sua bocca era contorta in una smorfia di dolore e che le sue manine, ora gelide, stringevano un lembo di stoffa grigia ricamata strappato da chissà dove, ultimo tentativo di ribellarsi a un assalitore che lo stava inesorabilmente tirando a sé.
Il post black metal, oggi tanto in voga, può avere diversi esponenti di spicco, alcuni padri fondatori, ma per come l'ho sempre sentito e vissuto io, un'unica radice, che risponde al nome di "Bergtatt" degli Ulver. Dato alle stampe nel 1995 questo lavoro unisce la ferocia del black metal norvegese (una nera fiamma che proprio in quegli anni stava splendendo con maggior vigore) a atmosfere folk notturne e nostalgiche, in cui una voce pulita e "lontana" aleggia come presenza inconsistente per poi investire l'ascoltatore con glaciale furia cieca. Disco imprescindibile nella collezione degli amanti del black metal, e più in generale di coloro che amano approfondire i suoi risvolti più "post", "Bergtatt" non necessita di tante parole, ma vuole solo che si chiudano gli occhi e che ci si lasci trasportare dalle sue note, abbandonarsi ad esse come ci si può abbandonare al Re degli Elfi.

Capitel I : I Troldskog Faren Vild

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venerdì 2 marzo 2012

Corvi d'oro


Paola stava giocando, persa nei suoi mondi immaginari, non aveva sentito sua nonna entrare in camera sua, se ne era accorta solo quando le aveva posato una mano sulla testa e l'aveva accarezzata. Potevi quasi toccare l'aria che permeava la sua cameretta, vedevi il pulviscolo in controluce che danzava , illuminato com'era dalla calda luce di un tramonto primaverile. Era stata una giornata intensa per Paola, era stanca dopo tante ore di lezione a scuola, e quello che voleva era solo giocare un po' con i suoi giocattoli e bersi la cioccolata che la nonna le aveva appena portato. Fuori il mare, immobile tappeto azzurro alla base della scogliera sulla quale la casa si ergeva, accarezzava il silenzio di quel pomeriggio con le sue onde lente, e i gabbiani si scambiavano richiami insistenti ma non fastidiosi.
Fu con stupore che a un certo punto Paola e la nonna si resero conto che tutti questi suoni si erano chetati: la luce arancione si macchiò di colpo di chiazze nere sempre più fitte e rapide, e un vocìo di corvi e cornacchie circondò la casa. uscite di casa, le nostre si trovarono circondate da uno stormo nero: erano impaurite ma in un certo senso non si sentivano minacciate. Le ali dei volatili, densa e scura coltre, si dissiparono, e lasciarono il posto a una figura alta e snella, con un nero mantello e un nero cappello, il volto coperto da una maschera con un lungo becco, gli occhi chiusi da cicatrici cucite. Paola fuggì terrorizzata dentro casa, ma si affacciò comunque alla finestra per tenere d'occhio la scena; vide la nonna prima indietreggiare, poi correre sorpresa a abbracciare quel losco figuro. I due, per mano, si tuffarono poi dalla rupe, ma quando Paola, trafelata, accorse trafelata e disperata temendo per la morte della nonna, quello che vide furono solo corvi che volavano, lenti, verso nord.
La bambina non ci pensò due volte: corse a perdifiato fino alla spiaggia sottostante, prese la barca a remi del povero nonno pescatore (scomparso solo qualche anno prima) e remò con tutta la sua forza all'inseguimento di quei due scuri puntini nel cielo crepuscolare. Mentre remava, il volto perlato da un misto di sudore e lacrime, pensava alle mani: quelle della nonna, vellutate come una buccia di pesca, e quelle del nonno, forti, solcate da calli e cicatrici portate dalle tante nottate spese a pescare. Mani che l'avevano tante volte accarezzata e coccolata, mani che d'improvviso erano scomparse.
Seguendo i corvi giunse a un isolotto che non conosceva: piccolo, grande forse quanto la sua casa, pieno di fiori porpora e strani arbusti. Vide in lontananza, su una collinetta, la nonna e l'uomo nero, e corse verso di loro. Quando li raggiunse si scagliò con tutta forza verso quello strano essere scuro e con il becco, percuotendo il suo apparentemente gracile corpo con tutta la sua forza: le sue mani furono però strette, con amore, in una stretta che subito riconobbe. Cadde così stupita in ginocchio, e la sua bocca, fino a pochi istanti prima contorta in una smorfia di dolore e rabbia, si aprì in un bellissimo sorriso: l'alto uomo si tolse la maschera, e i suoi occhi ora familiari scintillarono nel poco sole rimasto. Paola si alzò e abbracciò suo nonno: era come se lo era sempre ricordato, forse un po' più giovane, come la nonna era solito descriverlo dopo che era morto. Il loro abbraccio durò un 'eternità, ma fu la nonna a staccarli. I due anziani si chinarono, baciarono la ragazza, ognuno in una guancia, e le sorrisero. Poi si voltarono, furono di nuovo avvolti da una miriade di corvi, e quando tutto fu di nuovo più tranquillo non era rimasto più nessuno su quell'isolotto. Paola guardò nel cielo ormai buio, poi in terra, dove raccolse due penne, scure sì ma non nere, di un blu intenso che saettava di strani riverberi dorati. Le strinse a sé, le bagnò con le sue lacrime che copiose scendevano dalle sue guance, sorrise e si voltò, incamminandosi a piccoli passi verso la barchetta che ondeggiava poco distante da lei, cullata, accarezzata, da onde quasi consolatorie.
Nella nuova opera degli *Shels è possibile godere di tanto buon post rock: questo di base il genere proposto dai Nostri, che pagano evidente pegno ai Godspeed You! Black Emperor ma anche a Isis e Mogwai, con un occhio di riguardo per le epiche e struggenti atmosfere morriconiane (peraltro molto care anche ai canadesi citati poco fa). Il combo rielabora tutti gli imput provenienti sia dalle band appena nominate sia dal precedente loro lavoro "Sea of the Dying Dhow", (ereditandone le strutture direi proggressive senza l'accezione cervellotica e intricata che esse spesso si portano appresso), creando un'opera pregna di magia, impalpabile e allo stesso tempo pe(n)sante e massiccia, in cui le melodie e le ritmiche si sposano e si fondono le une con le altre in sabbiosi impasti, il tutto incorniciato da cori sontuosi (ma mai troppo invadenti) evocanti addirittura qualcosa dei 30 Seconds To Mars.
“Plains of the Purple Buffalo” si presta felicemente a essere ascoltato durante momenti di cambiamento (come il passaggio da una stagione invernale a una più mite) in cui si ha bisogno di qualcosa "amichevole" che ben si accompagni ai tiepidi raggi solari quasi primaverili, pur non dimenticandosi del rigore invernale peraltro non del tutto passato. In generale, una grande prova di forza di un gruppo che merita molto.