Scese in garage, e rovistando la sua
attenzione cadde su una scatola che ben conosceva. Era andato in
garage per cercare delle decorazioni di Natale un po' particolari, ma
non si aspettava certo di ritrovare quelle che aveva comprato lui
stesso, alcuni anni prima, per addobbare l'albero della sua casa,
quando viveva da solo.
Aperta la scatola (che riportava sopra
una scritta, a dirla tutta poco fantasiosa, “Scatola del Natale”),
di cartone massiccio, alzò delicatamente i festoni color oro, verde
e rosso che sbucarono fuori, come quei pupazzi caricati a molla
nascosti dentro quelle scatolette sorpresa. I festoni frusciarono al
suo tocco, prese tra un dito e l'altro i vari filamenti che li
componevano, e scuotendoli si alzò da essi un po' di polvere, che
poi scoprì essere farina, la farina che lui era solito utilizzare a
mo' di neve. Scostati i festoni ecco tutte le palline: sembrava quasi
di avere tra le mani una grande scatola di caramelle e cioccolatini
assortiti, ognuno con un incarto diverso, brillante e seducente. Si
sedette sul pavimento freddo del garage, svuotò le palline in terra
e decise di perdere un po' di tempo a suddividerle... E una volta
fatta la suddivisione si alzò in piedi, e guardando quei mucchietti
sbrilluccicanti subito riemersero chiari nella sua mente gli alberi
che aveva fatto negli anni passati, usando quel materiale. Erano
alberi cicciotti, ricchi e abbondanti nelle decorazioni, ma mai
pacchiani o troppo sfarzosi. Bilanciava sempre l'oro con il rosso: un
tot di palline rosse e un tot dorate, due festoni d'oro e due rossi,
questa era la regola, la base sulla quale poi si sviluppava l'intera
opera. C'erano poi palline blu e verdi, entrambe con striature
argentee: le aveva usate per un solo Natale, prima di cambiare casa,
ma gli piacevano, erano una nota piacevolmente disturbante che
destabilizzava l'ordine rosso dorato. Infine, le sue preferite,
quelle palline che lui amava definire “uniche”, che non avevano
nulla a che vedere con quelle acquistate in serie, a gruppi di dieci
o venti, ma erano esemplari singoli e particolari. Prendendole in
mano, una ad una, si ricordò come avevano fatto a finire in casa
sua: quella che gli era stata regalata, quella che si portava dietro
sempre, sin da quando era piccolo, quella con quei colori particolari
che tanto amava, quella che si era rotta e che lui aveva rincollato
chissà quante volte. Eppoi le lucine, due tipi soltanto (perché di
più erano davvero pacchiane), che amava accendere tenendo la luce di
casa spenta: le uniche fonti di luce, a notte, dovevano essere quelle
e il fuoco che vibrava nella stufa.
La vista delle palline suscitò in lui
la stessa emozione che provava ogni volta che saliva in soffitta a
casa dei suoi, e si imbatteva nei giocattoli della sua infanzia:
passavano i quarti d'ora e lui non se ne accorgeva nemmeno, tanto era
il tempo che spendeva riprendendo in mano quei suoi vecchi compagni
d'infanzia. Calore quindi, e contemporaneamente freddo, come quando
sei in una casa che ben conosci perché magari ci hai passato una
vita (e i tupi ricordi sembrano vivere ancora lì), ma è vuota e
fredda, senza più nessuno ad abitarla.
Chiuse quindi la scatola, rimettendo
tutto come l'aveva trovato, e come si fa con le cose preziose mise
idealmente quei ricordi che gli erano tornati in mente nello scrigno
più sicuro della sua memoria, con l'augurio che tale immagini non lo
abbandonassero mai. Si voltò poi, e se ne andò dal garage: il buio
cadde nuovamente sulla “Scatola del Natale”.
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