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martedì 25 settembre 2012

No one told you when to run, you missed the starting gun

 
Ricordo che facevo seconda o terza superiore. Avevo l'abitudine di sfogliare, prima di cena, un settimanale che comprava mia nonna, dove si parlava molto in generale di tv, gossip ecc, giornale questo che conteneva anche una classifica dei cinquanta dischi più venduti in Italia in quel momento. Scorrendo con gli occhi ancora poco allenati alla musica i nomi e le copertine dei vari album ce n'era sempre uno che mi colpiva, sia per quel titolo misterioso e oscuro, sia per quella copertina, così minimale eppure così affascinante: un prisma su sfondo nero con un raggio di luce che lo attraversava. Dopo svariate volte che lo vedevo decisi di segnarmi il nome del gruppo, e l'indomani, mentre mio babbo mi portava a scuola, gli chiesi se li conoscesse. Lui mi disse che sì, certo che li conosceva, e che andavano molto negli anni Settanta, quando lui era poco più che ventenne, ma non sapeva se mi sarebbero potuti piacere.
Arrivato a scuola chiesi altri lumi ad un mio compagno di classe, persona che stimavo molto al tempo perché ritenevo avesse una grandissima cultura musicale, ma costui me li "stroncò" un po', dicendomi che non gli piacevano, troppo dispersivi e "antiquati". Lì per lì credetti di lasciar perdere e di essermi dimenticato tutto, in realtà però quel nome mi si era impresso per sempre nel cervello, e caso volle che, poco tempo dopo, uscisse una raccolta commemorativa del gruppo, un "Best Of" che presi al volo, conscio che quella sarebbe stata la mia chiave di volta per aprire gli occhi su questo gruppo: lì avrei capito tutto.
Avevo l'abitudine, tornando a casa dopo scuola (quando i miei amici non mi venivano a trovare) di fare pranzo, guardare i cartoni in TV, studicchiare un po' con lo stereo acceso eppoi uscire. Quel giorno uscii prima da scuola, passai a comprare il CD, tornai a casa e, dopo pranzo e dopo i cartoni, mi stesi sul letto a TV spenta e con il CD inserito. La partenza non fu delle migliori, con pezzi sconclusionati e stralunati, strane marcette fiabesche e psichedeliche che mi colpirono poco (e a tutt'oggi, sebbene le abbia capite e inquadrate, non fanno grossa presa su di me), ma quello che venne dopo mi lasciò basito: una complessità di suoni mai sentita, accattivanti, malinconici per lo più, ricchi ora di groove ora di atmosfera, carichi ora di tensione e pathos mistico ora di freddezza e cinismo... In poche parole, avevo trovato il gruppo che faceva in quel momento per me. Ascoltai l'album tre o quattro volte quel giorno, alla fine mi addormentai pure, e nel dormiveglia le mie immagini erano mosse proprio da quelle musiche e da quei suoni quasi spettrali, e da quel giorno decisi che mi sarei comprato, piano piano, tutta la discografia della band.
Non avendo ancora internet a casa mi recai dal mio negozio di CD di fiducia, e basandomi sui pezzi del "Best Of" che più mi avevano colpito acquistai il mio primo disco del gruppo, e da lì tutti gli altri. Era bello constatare come ad ogni lavoro che ascoltavo i suoni erano sempre diversi, non riuscivo mai a rintracciare le stesse melodie dell'album precedente, eppure ne ero attratto in maniera stranissima.
Ricordo che il gruppo in questione mi ha accompagnato per i miei ultimi anni delle superiori e i primi dell'università (a quel punto già ero in possesso dell'intera discografia, ma era comunque un mio ascolto ricorrente). Durante la scuola mi stupivo di come certi album potessero tematicamente sposarsi alla perfezione con la letteratura italiana e inglese che stavo studiando... Ne ero così stupefatto che condivisi questa mia "esperienza" anche con la mia professoressa di inglese, la quale fu molto soddisfatta del mio acceso interesse verso la letteratura anglosassone (interesse questo che, forse complice suddetta band? non è mai scemato da quel momento)... Era bellissimo studiare T. S. Elliot o W. Blake con come sottofondo uno specifico album, ed era oltremodo affascinante ritrovare tra le righe dei testi gli stessi concetti che sentivo provenire dal CD.
Di fatto posso dire di aver dedicato la mia laurea a loro, dato che la mia tesi è stata proprio incentrata sulle copertine del gruppo, vere e proprie opere d'arte che, anche oggi, in un periodo in cui il formato digitale sta soppiantando tutti gli altri, hanno il loro perché.
Oggi, a distanza di una decina d'anni, forse più, dal primo giorno in cui ascoltai il gruppo in questione, ho rimesso nello stereo della macchina il famoso disco con il prisma, e l'ho ascoltato venendo a lavoro. Non che lo avessi lasciato lì a prendere la polvere in questi anni, sia chiaro, solo che qualcuno ha voluto che proprio oggi dovessi riascoltarlo. L'impatto è stato dei migliori, una sorpresa conscia se così posso definirla: sapevo cosa stavo ascoltando, ma lo ascoltavo con un'attenzione diversa, stupendomi per dei particolari che prima non avevo notato. Eppoi, alle parole "And then the one day you find /Ten years have got behind you /No one told you when to run /You missed the starting gun" è successo l'inaspettato, e mi sono messo a piangere. Non è la prima volta che piango ascoltando una canzone: non mi vergogno a dirlo, sono di lacrima facile, ma era la prima volta che piangevo ascoltando un pezzo di questo gruppo. Nella mia mente sono riaffiorate improvvisamente tutte queste immagini (ed altre) che ho cercato di ridescrivere nelle righe qui sopra, e tutti questi ricordi mi hanno soverchiato al punto che non ce l'ho fatta a tenermi tutto dentro... E questo accadeva mentre gioivo nell'ascoltare le stupende note provenire dalle casse della mia macchina.
Questo sfogo vale solo per me: ognuno fa le sue esperienze, e anche se un giudizio generale sulle indubbie qualità del gruppo può essere fornito, quello che significa per te, la valenza che gli dai in relazione alle tue esperienze, beh quella è e deve rimanere solo roba tua, assolutamente insindacabile. E anche se questo messaggio non arriverà mai a loro, voglio ringraziare quegli allora ragazzi per aver creato per me (sì, per me, alla luce di quanto scritto poco fa) quei dischi, che sono rimasti ben radicati nella mia mente e hanno costituito le basi sulle quali oggi si appoggia il mio bagaglio musicale, che per quanto ormai sia distante da loro, sempre da loro ritorno.
 

giovedì 20 settembre 2012

L'impero della luce


Dal vetro opaco della finestra la vista non era certo delle migliori. Il cielo era grigio, velato da una strana cappa scura, e lui non sapeva bene cosa fosse, se smog o nubi cariche di una pioggia sporca terribilmente restia a cadere. In basso le strade pullulavano di persone che correvano indaffarate, schivando vetture che si incolonnavano e ripartivano, sfrecciavano velocemente come frecce luminose e sparivano una volta svoltato l'angolo. La confusione era tale che non era in grado di udire neppure il cinguettio di quella (povera) coppia di pettirossi che avevano fatto il nido tra gli ossuti rami dell'albero di fronte.
Il fiore ondeggiò i suoi petali, indietreggiando (per quanto poteva, viste le ridotte dimensioni del vasino nel quale era stato piantato) dal vetro, e abbassando la sua corolla giallo oro fermò il suo sguardo su una macchia del davanzale, e come spesso accade quando ci perdiamo nei nostri pensieri e cadiamo come ipnotizzati, ci concentriamo su immagini reali che piano piano perdono la loro forma e lasciano spazio ai ricordi. Riesce quasi a sentirlo il sole riscaldare i suoi petali e le sue foglie, quando tutt'intorno aveva solo campi verdi e vellutate colline che si perdevano all'orizzonte, riesce a vederlo uno dei suoi petali staccarsi, come preso per mano da una leggera brezza di fine estate, danzare cullato del vento e allontanarsi seguendo invisibili trame. Il petalo fluttua, il vento lo spinge di fiore in fiore, e ogni corolla che tocca un nuovo petalo si unisce alla sua viva corsa tra le colline. Qui non c'è la mano dell'uomo, qui c'è solo la natura, che pulsa e freme con il sole ed il vento, con la sua vita semplice, calma e rilassata.
La processione di petali raggiunge, danzando, una vallata dove campi di grano ormai pronto per essere mietuto sonnecchiano al chiarore della luna, illuminati dalle flebili luci delle lucciole. Si divertono, i petali, a circondare i covoni di fieno, in un armonioso girotondo che coinvolge anche le lucciole, giocano a rimpiattino tra le spighe di grano che, frusciando, paiono quasi ridere e soffrire il solletico.
Si allontanano dalla radura: il sole sta quasi per sorgere, e i suoi primi raggi si riflettono sulle braccia meccaniche delle pale eoliche che svettano, come cipressi di metallo, dalle colline circostanti. Da ognuna di esse si dipartono cavi elettrici: il vento sospinge i piccoli petali intorno a queste vene metalliche, in un saliscendi vorticoso che però si arresta improvvisamente alla vista di enormi tralicci di ferro nero che, a valle, punteggiano i campi circostanti e sostituiscono i fiori e gli alberi. Intorno a queste strutture tutto è secco, tutto è arido: anche il vento sembra aver timore a sospingere i fragili petali, che difatti rallentano la loro folle corse, guardandosi intorno come smarriti. Dov'è l'erba, dove sono gli alberi, e perché il sole fatica a uscire da quella fitta coltre di nubi?
Il bello di questi petali è che non si danno per vinti: con coraggio affrontano la giungla di ferro e cemento che li circonda, prendono via via forza, e con un vigore che solo la natura sa sprigionare abbattono, l'uno dopo l'altro, gli orribili tralicci che li circondano, e bagnano con le poche gocce di rugiada mattutina che ancora conservano i grigi palazzi circostanti, che si inebriano di luce e sembrano risorgere dalle loro ceneri. Anche il vento riprende velocità, e li fa danzare tra le finestre spalancate, fa dondolare le altalene e li fa scivolare sugli scivoli che riprendono smalto e vita... Poi salgono su, in alto, verso il sole che finalmente ha vinto la sua battaglia contro le nubi, e si disperdono, esausti, nel cielo ora limpido e sereno.
Ricordandosi di tutto questo e rivedendo queste immagini come se fossero chiare e nitide, il fiore sorride dolcemente, e mentre una delle sue ormai poche foglie si stacca depositandosi sul freddo davanzale un raggio di luce filtra dal grigio vetro e, per un attimo, lo riscalda e lo fa tremare di gioia.
Al sesto tentativo gli inglesi Devil Sold His Soul fanno il botto. Non che prima ci fossero andati leggeri, sia chiaro: il precedente "Blessed & Cursed" aveva già messo in luce le loro potenzialità, ma era comunque ancora un po' acerbo, in alcuni punti (soprattutto nelle ultime tracce) un po' prolisso, e in generale ancora un po' derivativo. Isis, Pelican e altre band facenti capo in generale ad un certo post metal "emozionale" aleggiavano spesso nelle tracce di quel pur buonissimo album. Ma in Nostri con questo "Empire Of Light" sembrano aver cambiato marcia, sembrano essere riusciti a incorporare perfettamente le loro tante influenze e a restituirle in chiave personale. Hanno sempre avuto dalla loro la capacità di emozionare, e in questo lavoro ci vanno giù pesante, trascinando l'ascoltatore in saliscendi intensi e ipnotici, figli tanto degli Isis quanto dei vari Hands o, meglio ancora, degli A Hope For Home (con i quali sento molte correlazioni nelle atmosfere, sebbene questi costeggino maggiormente lidi post, siano essi post metal o post rock, mentre gli inglesi sembrano voler inserire anche partiture al limite dell'emocore).
Per un autunno alle porte, fatto sia di tiepide giornate soleggiate di fine estate, sia di fredde mattinate di inizio inverno, non c'è niente di meglio di questo "Empire Of Light".

It Rains Down

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venerdì 14 settembre 2012

Aspettando la tempesta


La serata era tranquilla, ma non diversa dalla precedente e, probabilmente, dalla successiva. Un pigro vento estivo soffiava attraverso l'inferriata e accarezzava il suo viso, mentre lei, seduta sulle scale, guardava con occhio perso in direzione del bosco, al di là del cancello. C'era una certa tensione nell'aria, ma non nella natura che circondava la casa: tutt'intorno era pacato, i grilli si rincorrevano con i loro richiami, mentre lievi fruscii degli animal notturni smuovevano il sottobosco. Il cane ai suoi piedi si stiracchiava e cercava il fresco negli scaloni di marmo, mentre ogni tanto saettava nel giardino il gatto, inseguendo qualche farfallina o falena. Niente avrebbe fatto presagire l'arrivo di un temporale, ma tanto lei sapeva che di lì a qualche ora, come tutte le notti, ci sarebbe stato da litigare, da lottare, da mangiarsi il cuore, e da non riposare come la notte vorrebbe.
Si alza e rincasa, si mette il pigiama e si corica, aspettando il sonno... Che non tarda ad arrivare, ma che ahimè dura poco. Si risveglia nel cuore della notte, il letto è vuoto ma la televisione in casa fa un gran baccano: è rincasato, e di certo sarà confuso come tutte le sere. Lo va a cercare, gli dice di venire a letto, ma lui le risponde in malo modo, con una voce e un atteggiamento miste tra il drogato, l'alcolizzato e il narcolettico. Poi comincia ad insultarla, chiamando in causa ora la mamma di lei, ora suo padre, dicendo che odia tutti, odia il posto, lamentandosi delle mille malattie che crede di avere e della mancanza di lavoro e di soldi... Tutte paure che lei sa essere infondate, ma che lui tira fuori così, a random, ogni sera, quando è in questo stato. Lei ci ha provato spesso in passato a farlo ragionare ma sempre senza successo: ormai ha perso le speranze, cerca quindi di rispondere a tono ma ha paura, la sua voce trema.
Dopo l'ennesima infamata lui se ne va a letto, lasciandola impalata in cucina, a fissare la televisione accesa, con le lacrime che rigano le sue guance. E' tornata la calma, neppure il tempo di mettersi a letto che lui già russa, incurante di lei e ignaro probabilmente delle cose che le ha detto; fuori i grilli continuano a richiamarsi, mentre lei, il sonno ormai perso, decide di provare a riposare un po' gli stanchi occhi nell'altra camera (ormai divenuta la sua camera), aspettando il nuovo sole, che non farà che riportarla ad una sera identica a quella che sta trascorrendo.
E intanto è invecchiata un po' di più, e ha perso un altro pezzo di sorriso, e un po' di scintillìo dai suoi occhi.


Violence